Julius Evola, ponte tra Oriente e Occidente

Parlare oggi di “ponti” tra Oriente e Occidente suona forse un po’ anacronistico, alla luce della crescente occidentalizzazione del globo, diffusione su scala planetaria di un paradigma – quello euro-occidentale – che ha finito per informare, quando non deformare, culture che con noi avevano ben poco che fare. Senza entrare troppo nello specifico, è tuttavia impossibile non notare come le stesse prese di posizione contro la pervasività di questo paradigma prendano le mosse da caratteri del tutto occidentali, come economia e demografia, capitalismo e comunismo. Per poi non parlare dell’immagine distorta dell’Oriente importata da guru e santoni, i quali, facendo riferimento a dottrine New Age, restituiscono versioni totalmente contraffatte di antichissime civiltà. Questo meccanismo, si badi, ha il sapore della beffa, se consideriamo che è attuato da un uomo occidentale il quale, da diversi secoli, è in balia del materialismo più intransigente, e ora si lascia tentare da una “spiritualità orientale” della quale è abile contraffattore.

Insomma, di “ponti” tra Oriente e Occidente ce ne sono parecchi, benché edificati su principi ben diversi da quelli propri a entrambe le civiltà, che oggi si “incontrano” nella modernizzazione e nel basic english, nel capitalismo e nella Rete, nelle oscillazioni borsistiche e nel sequestro delle sovranità ad opera di potentati transnazionali. Una congerie che ha finito per liquidare Oriente e Occidente, precipitati nel vicolo cieco di una globalizzazione che inizia a esibire parecchie fratture. Tuttavia, non sono mancati intellettuali che in passato hanno provato a impostare un dialogo secondo modalità ben differenti. Questo saggio è dedicato, nella fattispecie, a uno di loro.

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È sufficiente dare un’occhiata sommaria alla bibliografia di Julius Evola (1898-1974) per vedervi comparire opere dedicate all’Oriente. La prima, in ordine di apparizione, è L’uomo come potenza. I Tantra nella loro metafisica e nei loro metodi di autorealizzazione magica, edito da Atanòr nel 1926.[1] È il primo studio organico dedicato ai Tantra nel Belpaese, che verrà aggiornato dall’autore e pubblicato nel 1949 da Bocca, con il titolo Lo yoga della potenza. Saggio sui Tantra, uscendo infine, in una terza edizione rivista, nel 1968, per Edizioni Mediterranee[2]. Nel 1943, per Laterza, esce invece La dottrina del risveglio. Saggio sull’ascesi buddhista, poi ripubblicato in edizione aggiornata da Vanni Scheiwiller nel 1965[3]. Nel 1923, per i tipi di Carabba, esce, a cura del filosofo romano, Il libro della Vita e della Virtù di Lao-Tze. Verrà ristampato tale e quale in varie occasioni, fino al 1959, anno in cui Evola rivedrà completamente il testo e la sua curatela – da lui giudicata inadeguata – dandone alle stampe una nuova edizione per l’editore milanese Ceschina, con il titolo Il libro del Principio e della sua azione[4]. Tra le sue curatele dedicate a tematiche di orientalistica, ricordiamo inoltre Credenze religiose dell’antica Cina di Eduard Erkes (Istituto per il Medio ed Estremo Oriente, Roma 1958, con lo pseudonimo di Carlo d’Altavilla), Il Mistero del Fiore d’Oro di Lu-Tzu (Edizioni Mediterranee, Roma 1971) e il primo volume dei Saggi sul Buddhismo Zen di  D.T. Suzuki (Edizioni Mediterranee, Roma 1975). A parte i volumi ricordati, le tradizioni orientali fanno capolino in tutte le opere evoliane, da quelle filosofiche a quelle di metafisica della storia – in primis nel suo libro principale, Rivolta contro il mondo moderno, del 1934[5]. La prima parte dello studio, come noto, indaga i principi delle “civiltà tradizionali” in modo del tutto trasversale, facendo riferimento a realtà orientali, così come occidentali.

Ciò gli garantì una certa notorietà sia negli ambienti di orientalistica sia agli occhi di quanti compresero l’intima necessità di un incontro tra Oriente e Occidente. Lo testimoniano, ad esempio, le sue collaborazioni all’IsMEO (Istituto Italiano per il Medio ed Estremo Oriente), fondato nel 1933 da Giuseppe Tucci su iniziativa di Giovanni Gentile, il quale fece pressioni sul Duce in persona affinché venisse creato un organo finalizzato a rinsaldare le relazioni tra l’Italia e i Paesi asiatici. Un ponte tra due civiltà, insomma, all’insegna di principi morfologici e super-storici: ecco l’ambizioso progetto dell’IsMEO,[6] che a partire dal 1935 iniziò a pubblicare un «Bollettino», presto trasformatosi nel bimestrale «Asiatica», attivo fino al giugno del 1943. Evola vi contribuì nel novembre-dicembre 1940, con l’articolo Basi spirituali dell’idea imperiale nipponica[7]. Allo scoppio della Seconda guerra mondiale le cose non si misero bene per l’IsMEO, mentre nel secondo dopoguerra Tucci fu epurato, essendo il presidente dell’Associazione di amicizia italo-nipponica, e fu riammesso nell’istituto nel 1948: due anni dopo diede vita a una nuova versione di «Asiatica», vale a dire «East and West», sempre bimestrale, il cui primo numero uscì nell’aprile del 1950. Come caporedattore del periodico fu scelto Massimo Scaligero, che ne divenne direttore responsabile dal 1955. Fu lui a sollecitare la partecipazione evoliana, che dal primo numero – su cui uscì un suo saggio dedicato al Tantrismo – si protrasse fino al 1960, con quindici saggi (di cui uno, per un disguido editoriale, addirittura pubblicato due volte!) dedicati, come ha scritto Angelo Iacovella introducendo la raccolta degli articoli evoliani di «East and West», allo «scontro/incontro, eterno e fecondo, tra l’Oriente e l’Occidente nella sfera del pensiero e della spiritualità»[8].

Non siamo di fronte a semplici ricognizioni teoretiche, ma a veri e propri confronti fra tradizioni occidentali e orientali, i cui rispettivi principi vengono vagliati reciprocamente. Qualche esempio? Evola paragona la dottrina dello Svâdharma e l’esistenzialismo (quello di Jaspers, Heidegger e Barth, per capirci), la possibilità di disporre della propria vita e morte in Oriente e Occidente, il rapporto tra lo Zen (trattato nel libro di Suzuki già menzionato) e certe dottrine filosofiche moderne, il simbolismo erotico orientale e quello mediterraneo (insieme ai “Misteri della Donna”). Ma nemmeno mancano recensioni di libri dedicati a tali argomenti, come Il nodo di Gordio di Ernst Jünger, Lo yoga. Immortalità e libertà di Mircea Eliade, Sol invictus di Franz Altheim e La rencontre des religions di Jacques Cuttat (che il filosofo stroncherà).

Il confronto tra quelle che – come vedremo – non sono mere designazioni geografiche ma categorie dello spirito percorre, come un fil rouge, tutte le incursioni evoliane su «East and West». Valga come esempio il saggio Gli impulsi liberatori dell’Oriente tradizionale dell’aprile 1951, che insiste sulla dimensione civilizzatrice (in senso spengleriano) e moderna dell’attuale civiltà d’Occidente, difficilmente confrontabile – da un punto di vista tradizionale – a quella orientale. Un’autentica sovversione cui, tuttavia, non sono immuni nemmeno quegli orientali che seguono le sirene del sogno euro-occidentale, costituendo a loro volta un’immagine distorta della modernità. Diverso è il discorso se si considerano le zone dell’Oriente ancora rimaste intatte, impermeabili alla spinta globalista e ancora memori di quanto «l’Occidente un tempo possedeva, ma ha dimenticato»[9]. Stando così le cose, un dialogo fruttuoso tra Oriente e Occidente avrà luogo solo quando in entrambe le realtà sarà ripristinato un certo tipo di spiritualità – o meglio, utilizzando un’immagine tradizionale, quando si chiuderà il presente ciclo. Sta di fatto che il problema delle relazioni reciproche tra East e West assume, in queste pagine, «un significato universale al di sopra e oltre gli interessi di ciascuna civiltà»[10].

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A scanso di equivoci, diciamolo fin da subito: secondo l’ordine di idee che stiamo considerando, da un punto di vista di metafisica della storia, la vera opposizione non è tra Oriente e Occidente, ma tra civiltà tradizionali e civilizzazioni moderne. Ne aveva già parlato Guénon ne La crisi del mondo moderno, del 1927, ed Evola – che, tra l’altro, tradusse l’opera un decennio dopo – non fece che portare alle estreme conseguenze questo assunto. Basta leggere, ad esempio, La dottrina del Risveglio: «L’insistere sull’antitesi di Oriente ed Occidente è frivolo. L’opposizione vera è in primo luogo quella che esiste fra le concezioni di tipo moderno e le concezioni di tipo tradizionale, siano, queste ultime, occidentali o orientali»[11].

Corollario di queste tesi è il rifiuto di due approcci opposti ma intimamente complementari. Se da un lato Evola si oppone all’esotismo di certe fughe in Oriente (ad esempio, criticando la teosofia),[12] dall’altro attacca aspramente l’ottuso e superficiale occidentalismo di Henri Massis – il cui libro principale, Defense de l’Occident (del 1927, lo stesso anno de La crisi), verrà criticato anche da Guénon ed Eliade – o di Cuttat, i quali non solo difendono una tradizione occidentale che fa acqua da tutte le parti, ma lo fanno alla luce di un cristianesimo inteso da un punto di vista meramente essoterico-devozionale (esterno, per così dire), tralasciando quello esoterico e interno, sul quale, semmai, potrebbe basarsi un dialogo fruttuoso con l’Oriente.

Ebbene, La crisi del mondo moderno esce in seconda edizione nel 1953, per le Edizioni dell’Ascia, sempre nella traduzione di Julius Evola, che nel 1954 lo recensisce su «East and West», evidenziando come le sue profezie si siano avverate e la cosiddetta Kulturcrisis abbia trovato un rinnovato vigore nel secondo dopoguerra. Evola esordisce affermando come la contrapposizione tra Oriente e Occidente non sia «né geografica né storica», ma abbia «un carattere morfologico e tipologico»[13]. Entrambi hanno avuto una fase tradizionale e una moderna: ne deriva che è inutile cercare in una delle due realtà principi che possano essere trasfusi nell’altra. Il confronto, semmai, deve servire da stimolo affinché ognuno rivivifichi la propria radice tradizionale. Evola discute poi le tesi di Guénon, secondo cui l’Oriente conserverebbe intatti più “elementi tradizionali” di un Occidente che da secoli ha rinnegato completamente le proprie radici, in nome di una modernizzazione selvaggia. A questo punto, il contatto con le élite orientali potrebbe favorire «una ripresa, “galvanizzare”, per così dire, le forze latenti», ricevendo «ciò che può essere utilizzato per riscoprire la nostra propria tradizione» e ricreando «un’atmosfera favorevole al rifiorire dell’Occidente tradizionale»[14]. Da questo punto di vista, è insomma auspicabile un ponte tra Oriente e Occidente, ben diverso da quelli edificati dalla politica o dalle confusioni “spiritualiste”.

Dalla prima edizione de La crisi, tuttavia, le cose sono cambiate e «gran parte dell’Oriente di Guénon sembra divenire una cosa del passato»: i punti di riferimento utili alla “rivivificazione” di cui sopra andrebbero cercati, piuttosto, in qualche piccolo «gruppo di nobili spiriti, destinati dal corso degli eventi a svolgere un ruolo sempre più piccolo nei destini storici»[15]. Valide come principi generali, le tesi discusse falliscono se riferite all’Oriente odierno. In sostanza, le considerazioni guénoniane

sono di un ordine ideale piuttosto che reale, e non bisogna vedere troppo ottimisticamente le prospettive di ottenere un aiuto realmente valido per resistere a forze che ora sono al lavoro nel mondo intero e che sarebbero difficili da padroneggiare altrimenti che “cavalcando la tigre”[16].

Cavalcare la tigre è il titolo di un libro, firmato da Evola, che uscirà un decennio dopo – ma che in quel periodo era già stato concluso – su cui ci promettiamo di tornare successivamente.

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Julius Evola non si volge mai a Oriente a mero fine documentaristico, ma sempre per offrire una soluzione pratica alla crisi che avviluppa l’Occidente, sperimentando il contatto con la «controparte “operativa” del pensiero orientale» e riproponendone i contenuti «riccamente trasfigurati alla luce della sua Weltanschauung», in una «“rianimazione”, in chiave anti-moderna e anti-materialistica, delle principali “vie realizzative” che l’Oriente gli suggerisce»[17]. Nessuna evasione, insomma, ma un’ininterrotta dialettica, il ritorno alla propria tradizione secondo vie alternative, superando tanto gli occidentalismi a tutti i costi quanto le infatuazioni confuse di certa New Age, come già detto. Nella sua ottica, l’antitesi Oriente-Occidente, come ha scritto Silvio Vita, è «del tutto trans-culturale». Lo studio di discipline orientali come buddhismo e taoismo, tantrismo e zen, sfocia sempre nella contrapposizione Tradizione-modernità «all’interno della nostra cultura, senza per questo immaginare un’unica luce ex oriente»[18]. La sintesi superstorica di una via occidentale all’Oriente e di una via orientale all’Occidente: questo fu Julius Evola.

Un esempio tra i tanti è costituito dal tantrismo. Se Evola se ne interessa, come ha notato Alberto Ventura, è anzitutto perché contiene «una via di realizzazione che è più adeguata alle condizioni dell’età oscura»[19]. Una via attiva e non contemplativa, così com’è attiva la nostra tradizione – frangente che, come noto, lo allontanò da Guénon – secondo una duplicità che, secondo Evola, connota le civiltà tradizionali e da cui è impossibile prescindere, specie laddove si tratti di superare una crisi. Procedendo su questa china, continua Ventura, emerge la necessità di«un adattamento tradizionale che vada incontro alle esigenze di spiriti più inclini all’azione che alla contemplazione». D’altronde, se «la dottrina rimane nel fondo la stessa, i mezzi di realizzazione si adeguano alle necessità dei tempi»[20]. L’“attualità” delle dottrine in questione emerge nella prima edizione dello studio sui Tantra, dove si parla della necessità della cosiddetta “Via della Mano Sinistra” (anima del tantrismo) nelle fasi finali del Kali-Yuga, che connoterebbero l’Occidente attuale:

Laddove all’“età dell’oro” era proprio il principio della pura conoscenza, al Kali-Yuga […] è proprio soltanto il principio della potenza; e mentre là il dhyana-yoga (metodo puramente intellettuale e meditativo) era sufficiente alla liberazione, […] nell’“età nera” l’Io, essendo ormai interamente contessuto e profondato nel principio della realtà materiale, non può pervenire alla realizzazione che per un metodo che vada ad investire nel profondo le stesse potenze corporee, che vada a tener conto di esse […] come di qualcosa di positivo, soltanto riaffermandosi sulle quali come su ausiliari preziosi si può sperare una concreta liberazione. Donde l’istanza fondamentalmente pratica e positiva dei Tantra, che sé stessi comprendono come un sadhana-sastra (dottrina pragmatica)[21].

Una dottrina essenzialmente pratica e soteriologica che fa leva sull’azione, rivelandosi non un’ortodossia ma un’ortoprassi: «Vedendo nella forza l’essenza di ogni realtà, i Tantra rigettano i metodi puramente intellettuali, conoscitivi e devozionali», ambendo piuttosto a «dominare sia la vita che la realtà fisica»[22], basandosi appunto sulla Via della Mano Sinistra.

Il suo assunto fondamentale è che il principio, secondo la tradizione orientale, agisca in tre fasi (non cronologiche, ma ontologiche), creando, conservando e distruggendo (o, meglio, riassorbendo). Laddove sia interpretato secondo le prime due, il cammino atto a conseguirlo sarà la cosiddetta Via della Mano Destra. Nell’ultimo caso, improntato a un principio inteso quale pura trascendenza che riassorbe quanto emanato[23], ci troveremo di fronte alla Via della Mano Sinistra. Come scrisse Evola nella sua “autobiografia spirituale”, edita agli inizi degli anni Sessanta, la “Via della Mano Destra” è connotata «dall’affermazione dell’esistente, dalla sua sacralizzazione, dalla conformità alle leggi e ai precetti positivi di un dato ordinamento tradizionale della vita terrena», mentre l’altra può includere «il distacco da ogni ordine e norma esistente (come nell’ascesi assoluta) ma anche una distruzione, l’anomia, lo svincolamento distruttivo, effettuato sempre nel segno dell’incondizionato»[24]. Se la prima richiede una regolare trasmissione tradizionale, la seconda implica una trascendenza del tutto individuale all’interno della «elementarità di un mondo in cui bene e male, divino e umano, razionale e irrazionale, giusto e ingiusto, non hanno più senso»[25]. Allo stesso tempo, si fonda sulla necessità di portare a compimento alcuni dei processi in atto nel mondo moderno, conducendo alle sue estreme possibilità anche fatti ed eventi che il nostro essere naturalmente rifugge: «Saper rompere il limite e scavare sempre più profondamente, alimentando la sensazione di un abisso sempre più vertiginoso, e consistere, mantenersi nel trapasso, in cui altri sarebbero spezzati».[26] Al pari dell’azione riassorbente del principio, che dal molteplice ritorna all’unità, la pratica tantrica prende le mosse dalle regioni inferiori, riconnettendole violentemente a quelle superiori. Impossessandosi dell’elementare, il praticante s’identifica con il principio stesso, il quale, attraversato l’esistente, si appresta a fare ritorno.

Per quale ragione tale excursus sul tantrismo? Risponderemo citando un estratto de Il cammino del cinabro riferito a una delle opere più famose – e potenti – del filosofo romano, non dedicate all’Oriente ma a come agire nel mondo moderno, il cui sottotitolo è significativamente Orientamenti esistenziali per un’epoca della dissoluzione:

Il punto di vista della “Via della Mano Sinistra” è anche quello che dovevo seguire nel mio libro, Cavalcare la Tigre, in vista della situazione stessa dei tempi ultimi e del corrispondente bilancio negativo che mi trovai costretto a fare in via definitiva, dopo aver constatato che nessuna iniziativa raddrizzatrice, ricostruttrice o creativa (da “Via della Mano Destra”) può illudersi di avere una qualche probabilità di successo nel clima generale del mondo e della società attuali prima del chiudersi di un ciclo[27].

Come già detto, insomma, Evola trae dall’Oriente una serie di norme e precetti destinandoli però all’uomo occidentale, perso in un mondo – quello moderno – sempre più spersonalizzante. È infatti la Via della Mano Sinistra a quintessenziare il “realismo eroico” di Cavalcare la tigre, che prende appunto le mosse dagli aspetti più critici della modernità stessa utilizzandone la spinta in senso ascendente, rimanendo ben piantata nell’hic et nunc, senza perdersi nei paradisi artificiali delle utopie o di conservatorismi fuori tempo massimo.

La crisi, in questo libro, è come la malattia, che attiva anticorpi sopiti, è una domanda cui l’individuo deve rispondere, un compito da realizzare. Basta leggere la conclusione della terza edizione di Rivolta contro il mondo moderno, del 1969, influenzata evidentemente dalle tesi di Cavalcare: «Se l’età ultima, il kali-yuga, è un’età di terribili distruzioni, coloro che malgrado tutto vi si tengono in piedi possono conseguire frutti non facilmente accessibili agli uomini di altre età».[28] Questo richiede, però, un atteggiamento differenziato, basato sull’assumere, «presso ad uno speciale orientamento interiore, i processi più distruttivi dell’era moderna per usarli ai fini di una liberazione».[29] Tantrismo allo stato puro, qui declinato nel “paesaggio di rovine” del secondo dopoguerra. È solo a queste condizioni che l’“uomo differenziato”, destinatario di Cavalcare, potrà cercare di sua spontanea volontà «quelle situazioni o alternative, nelle quali la forza prevalente, la propria “vera natura”, è costretta a palesarsi, a farsi riconoscere».[30] Ebbene, gli Orientamenti esistenziali per un’epoca della dissoluzione sono una rassegna delle possibilità liberatrici di certi fenomeni moderni, a patto che si sappia utilizzarli – attraverso una voluta eterogenesi dei fini – in modo diverso. I processi spersonalizzanti in atto, la dissoluzione del materialismo (anticipazione della “modernità liquida” di Bauman)[31], la caduta dei tabù sessuali, le sostanze stupefacenti… «Gli dèi sono anche qui», disse una volta Eraclito l’Oscuro. Se l’Occidente lo ha scordato, è bene che sia l’Oriente a ricordarglielo – ma niente di più.

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Sono tutti frammenti di quel ponte tra Oriente e Occidente creato da Evola, che risponde al nome di metodo tradizionale, fondato sull’idea di un’unità trascendente di tutte le tradizioni particolari, per riprendere la celebre espressione di Fritjof Shuon, permeate da una sola philosophia perennis che le informa tutte[32]. Il fondamento di questa Weltanschauung è stato formulato, tra gli altri, da René Guénon, nella sua opera più volte evocata in questo nostro excursus:

Il vero spirito tradizionale, quale sia la forma da esso rivestita, è in fondo sempre ed ovunque lo stesso; le forme diverse, specificamente adatte a queste o quelle condizioni mentali, a queste o quelle circostanze di tempo e di luogo, sono solo le espressioni di una unica e sola verità. Ma bisogna porsi sul piano dell’intellettualità pura per scoprire questa unità fondamentale sotto l’apparente molteplicità delle varie forme. D’altronde, è in quest’ordine intellettuale o spirituale che si trovano i principî, da cui tutto il resto normalmente dipende al titolo di conseguenze o applicazioni più o meno remote[33].

Lo studio di quel “tutto il resto” non deve mai pregiudicare l’intuizione di uno spirito che supera contingenze e accidentalità storiche, manifestandosi immutato dietro alle “contrapposizioni” tra civiltà differenti. Espressioni varie e Tradizione una: nel sottotitolo della rivista «La Torre», fondata e diretta da Evola nel 1930 dopo l’esperienza di «Ur» e «Krur», c’è già tutto.

Un “metodo tradizionale” che il filosofo romano formulerà compiutamente ne Il mistero del Graal, edito nel 1937 e pensato originariamente come un capitolo di Rivolta. Un procedimento onnicomprensivo e sintetico (ripreso anche da Walter Heinrich nel suo libro intitolato appunto Sul metodo tradizionale),[34] che spazia attraverso varie discipline – senza, tuttavia, sfociare in certo eclettismo e comparativismo – sempre in cerca del quid che si manifesta immutabile dietro i vari ambiti. Avverso agli approcci analitici che infestano la cultura moderna, come ha scritto Alberto Ventura, tale metodo ha come chiave di volta l’idea di corrispondenza analogica, avvalendosi dell’induzione, «che a differenza dei processi deduttivi produce un’intuizione spirituale, anch’essa capace di integrare e unificare elementi molteplici in un unico principio».[35] Ebbene, ne Il mistero del Graal, dopo aver demolito i metodi di analisi usuali, Evola passa a precisare i fondamenti di un modo ben diverso di leggere la storia delle civiltà, trasversale e integrativo, che considera l’uomo e la storia in modo organico:

La caratteristica del metodo che noi, in opposto a quello profano – empiristico o critico-intellettualistico – delle ricerche moderne, chiamiamo “tradizionale”, è di mettere in rilievo il carattere universale di un simbolo o di un insegnamento col riportarlo ad altri corrispondenti di altre tradizioni, tanto da stabilire la presenza di qualcosa di superiore e di anteriore a ciascuna di queste formulazioni, diverse fra loro, ma pure equivalenti. E siccome una tradizione può, più di altre, aver dato ad un comune significato una espressione più completa, tipica e trasparente, così lo stabilire corrispondenze del genere è uno dei mezzi più fecondi per comprendere e integrare ciò che negli altri casi si trova in una forma più oscura e frammentaria[36].

Si potrà essere o non essere d’accordo con molte delle testimonianze qui evocate – a cui se ne potrebbero aggiungere molte altre – ma di certo non si può eludere la domanda epocale che da esse balugina, vale a dire la necessità d’intraprendere un dialogo differente tra quelle polarità usualmente denominate Oriente e Occidente. Una prospettiva “pontificale” che sarebbe molto interessante riprendere oggi, nel momento in cui i diktat della globalizzazione dichiarano bancarotta, e il mondo è diviso tra un Occidente che ha perso qualsiasi tipo di linfa vitale e altre forze che si risvegliano, del tutto decise a presentare il conto.

Al di là delle sfumature assunte in base ai temperamenti individuali, tutti questi moniti ci dicono una sola cosa: se il confronto Oriente-Occidente avrà luogo da un punto di vista simbolico-culturale, allora si assisterà a un incontro, alla riunione di due fratelli separati dalla necessità della Storia. Se, invece, saranno fattori di ordine meramente economico o politico a orientare questo confronto, l’esito non potrà che essere lo scontro di civiltà di cui ha parlato Samuel Huntington. Mai come ora è stato necessario costruire ponti. Mai come ora è stato necessario abbatterne altri[37].


[1] Ultima ed. anastatica: Edizioni Mediterranee, Roma 2011.

[2] Ultima ed.: Edizioni Mediterranee, Roma 1995.

[3] Ultima ed.: Edizioni Mediterranee, Roma 1995.

[4] Nel 1972, per Mediterranee uscirà un’edizione comprendente entrambe le versioni, precedute da un saggio introduttivo di Silvio Vita.

[5] Ultima ed.: Edizioni Mediterranee, Roma 1998.

[6] Sull’argomento cfr. Alessandro Grossato, L’eurasismo di Giuseppe Tucci e dell’IsMEO, in Esoterismo e fascismo, a cura di Gianfranco de Turris, Edizioni Mediterranee, Roma 2006.

[7] L’articolo è ora contenuto in Julius Evola, Oriente e Occidente, Edizioni Mediterranee, Roma 2001.

[8] Angelo Iacovella, Uno sguardo a Oriente: Evola, Tucci e l’IsMEO, in ivi, p. 21.

[9] Julius Evola, Gli impulsi liberatori dell’Oriente tradizionale, in ivi, p. 35.

[10] Ivi, p. 39.

[11] Julius Evola, La dottrina del Risveglio. Saggio sull’ascesi buddhista, All’Insegna del Pesce d’Oro, Milano 1965, p. 30.

[12] Soprattutto in Maschera e volto dello spiritualismo contemporaneo, del 1932 (ultima ed.: Edizioni Mediterranee, Roma 2008).

[13] Julius Evola, René Guénon, Oriente e Occidente, in Oriente e Occidente, cit., p. 47.

[14] Ivi, p. 48.

[15] Ivi, p. 49.

[16] Ivi, p. 50.

[17] Angelo Iacovella, op. cit., p. 15.

[18] Silvio Vita, L’Oriente di Julius Evola e la fortuna dello Zen in Occidente, in Studi Evoliani 1999, Fondazione J. Evola, Roma 2001, p. 119. Sembra di sentire le parole di Mircea Eliade, il quale, dopo aver attaccato l’infatuazione orientalistica della teosofia blavatskiana, nel saggio L’India e l’Occidente, composto a «Calcutta, 82 Ripon Street, 6 febbraio 1929», concluse: «Per gli assetati di spiritualità, anche in Europa si trovano parecchie sorgenti» (tr. di Horia Corneliu Cicortaş, in «Antarès», n. 7/2014, p. 48).

[19] Alberto Ventura, Evola, Guénon e la «questione d’Oriente», in Studi Evoliani 2012, Fondazione J. Evola-Arktos, Roma-Carmagnola 2014, p. 25 (volume che contiene gli atti del convegno Evola e l’Oriente).

[20] Ivi, p. 27.

[21] Julius Evola, L’uomo come potenza, cit., p.13.

[22] Ivi, p. 43.

[23] Cfr. Julius Evola, Sulla “Via della Mano Sinistra”, in Ricognizioni, Edizioni Mediterranee, Roma 1974, p. 117.

[24] Julius Evola, Il cammino del cinabro, Edizioni Mediterranee, Roma 2018, p. 392.

[25] Julius Evola, La “Via della Mano Sinistra”, cit. p. 83.

[26] Ibidem.

[27] Julius Evola, Il cammino del cinabro, cit., p. 393. Su questa linea di continuità cfr. Stefano Arcella, Il contributo di J. Evola alla conoscenza del buddhismo vairayana, in Studi Evoliani 2009, Fondazione J. Evola, Roma 2010. Sulla declinazione della metodologia utilizzata negli studi sui Tantra all’interno del Cammino e di Cavalcare cfr. Piero di Vona, Evola Guénon De Giorgio, Sear, Borzano 1993, pp. 127-128.

[28] Julius Evola, Rivolta contro il mondo moderno, cit., p. 406.

[29] Ivi, p. 105.

[30] Julius Evola, Cavalcare la tigre, Edizioni Mediterranee, Roma 2009, p. 65.

[31] Una dissoluzione, tra l’altro, anticipata anche da Guénon ne Il regno della quantità e i segni dei tempi, del 1945 (ed. it. Adelphi, Milano 1982).

[32] Cfr. Frithjof  Schuon, Unità trascendente delle religioni, tr. di Giorgio Jannaccone e Maurizio Magnini, Edizioni Mediterranee, Roma 1980.

[33] René Guénon, La crisi del mondo moderno, a cura di Gianfranco de Turris, Andrea Scarabelli e Giovanni Sessa, Edizioni Mediterranee, Roma 2015, p. 52.

[34] Ultima ed. it.: Fondazione J. Evola-Pagine, Roma 2018, a cura di Stefano Arcella. Non è un caso che Evola si sia occupato del volume in questione, tra l’altro proprio su «East and West», nell’articolo Vedânta, Meister Eckhart, Schelling (giugno-ottobre 1960): «Per Heinrich, il problema non è quello di una comparazione esteriore tra parti distaccate, partendo da cui si arriva a un insieme di corrispondenze di idee o di simboli; al contrario, si tratta di partire dalla intuizione essenziale di un contenuto che idealmente precede le parti, e la ricerca comparativa deve servire ad illustrare questo contenuto con il contributo dato dalle sue varie forme di espressione, come esse si presentano in diverse formulazioni e in diverse tradizioni. […] Le accertate concordanze di idee essenziali non possono venir spiegate né con la trasmissione, né con contatti esteriori, empirici; esse hanno una profonda radice, di carattere metafisico» (ora in Julius Evola, Oriente e Occidente, cit., pp. 149-150).

[35] Alberto Ventura, Evola e Guénon: la Tradizione contro il mondo moderno, in René Guénon, La crisi del mondo moderno, cit., p. 226.

[36] Julius Evola, Il mistero del Graal, Edizioni Mediterranee, Roma 1997, p. 37.

[37] Il presente saggio è stato pubblicato nel volume collettaneo Ermeneutica del ponte: materiali per una ricerca, curato nel 2018 da Silvio Bolognini e pubblicato da Mimesis.