Le tre soluzioni di Julius Evola: sull’ultimo studio di Sandro Consolato

Sandro Consolato

Le tre soluzioni di Julius Evola e altri studi evoliani

Arŷa Edizioni, Genova 2020, pp. 208, euro 22,00.

Nel singolare febbraio di quest’anno, diviso tra una pandemia che strisciava silenziosa, preparandosi ad assestare il proprio colpo sul tessuto sociale, e commissioni parlamentari istituite contro “l’odio” (spero che i nostri nipoti possano riderne un giorno, pensando che in Italia sono stati processati anche i sentimenti…), una manciata di giorni prima dell’inizio di quella cattività forzata cui siamo stati sottoposti, è uscita per i tipi di Arŷa la raccolta di saggi Le tre soluzioni di Julius Evola, firmata da Sandro Consolato. Ho dovuto attendere il “disgelo” per recuperare una copia di quello che è l’ultimo capitolo di un trittico costituito da Julius Evola e il Buddhismo (SeaR, 1995) ed Evola e Dante (Arŷa, 2014), che sono e restano due pietre miliari negli studi evoliani.

L’eterogeneità dei saggi di quest’antologia è solo apparente, avendo come denominatore comune una profondità di analisi che parte da momenti diversi del percorso intellettuale del filosofo romano per giungere sempre al cuore della sua “visione del mondo”. Se è vero – e lo è – che il pensiero di Julius Evola è un labirinto dotato di molteplici accessi, lo stesso discorso vale per il libro di cui stiamo parlando, che si focalizza, come leggiamo nell’introduzione, su un Evola particolare, quello «dell’‘esistenzialismo esoterico’ (in una dimensione più ‘verticale’) e dell’‘anarchismo di destra’ (in una dimensione più orizzontale): un Evola che mi pare molto più consono ai nostri tempi». Parole che è difficile non sottoscrivere e che si attagliano alla perfezione alla situazione impostasi mentre scriviamo queste note. È un libro, quello di Consolato, da tenere sempre in tasca, per riflettere sui tempi che corrono alla luce di punti di riferimenti altri.

Entrando in medias res, di particolare interesse è il saggio che dà il titolo all’intero libro, il quale rincorre nella produzione evoliana la presenza di tre soluzioni per fronteggiare il presente. Questa triplicità è fotografata in tre momenti differenti, che corrispondono ad altrettante opere, vale a dire, in ordine di pubblicazione, Imperialismo pagano (1928, dove compare l’espressione delle «tre soluzioni»), Rivolta contro il mondo moderno (1934) e Cavalcare la tigre (1961). Queste soluzioni, riassumendo e rimandando al libro per la loro analisi dettagliata, vedono una molteplicità di approcci alla contemporaneità, da adottare in base al proprio temperamento. Impegnarsi attivamente per provare a riorientare il proprio tempo secondo principi “altri”, non mancando all’occorrenza, come Evola scrisse spesso, di battersi su «posizioni perdute», arruolandosi in ipogei «fronti delle catacombe», oppure scegliere, per «ribellismo ascetico», l’isolamento e il distacco da un mondo votato al nichilismo compiuto; scegliere di testimoniare una visione tradizionale del mondo persino in una realtà completamente avversa ai suoi principi o sfruttare la spinta delle forze distruttive in atto per farle naufragare, facendo emergere da questo crollo, come per una coscientemente voluta “eterogenesi dei fini”, un Nuovo Inizio.

È questa pluralità, tra l’altro, a legare indissolubilmente Evola alla sua opera. Se il filosofo vide in queste “soluzioni” dei cammini da compiere, in base alla propria inclinazione personale, questo non toglie che lui li abbia percorsi tutti. Sebbene, alla fine – e questo è evidente dando una scorsa alle pagine di Cavalcare la tigre, come scrive Consolato –, dei due assi della sua equazione personale, quello della trascendenza abbia finito per prevalere su quello dell’immanenza. Lo testimoniano le ultime quattro pagine di Cavalcare, su cui in pochissimi si sono cimentati, e che costituiscono il culmine della riflessione di Consolato, focalizzata sull’«esistenzialismo positivo» di cui Evola parla ne Il cammino del cinabro, qui definito a giusto titolo «esistenzialismo esoterico».

Quest’analisi, tra l’altro, permette anche di vedere quegli Orientamenti esistenziali per un’epoca della dissoluzione (il sottotitolo di Cavalcare) non come un arretramento, come spesso è stato scritto, o un ripiegamento interiore, ma come una variazione su un tema antichissimo. In questo libro, nota l’Autore, «Evola dà piena espressione ad una delle tre soluzioni che si affacciava già nel ’28, poi nel ’33, quindi nel ’34 e poi di nuovo nel ’51: quella che proponeva di assumere, perfino dandogli accelerazione, il ritmo della dissoluzione, di usare i “rivolgimenti distruttivi” del fondo dell’“età oscura” come la “simbolica ‘acqua corrosiva’ dei filosofi ermetici”». Se le cose stanno così, insomma, «Cavalcare la tigre è stato sempre nella mente di Evola, anche quando si recava a Palazzo Venezia da Mussolini come un Platone alla reggia di Siracusa, allorché cercò – sono parole sue – “seguendo la seconda delle mie inclinazioni (quella da kshatriya), di far valere nel dominio dell’azione e in margine alla stessa politica i princìpi per una rivolta contro il mondo moderno”». Consolato fornisce una gran mole di documenti e testimonianze a suffragio di quest’ipotesi, a cui si potrebbero aggiungere i vari articoli pubblicati nella rubrica Diorama filosofico, che il filosofo romano tenne sulle colonne di Regime fascista tra il 1934 e il 1943. Ecco, ad esempio, quanto scrisse in Fine dell’epoca letteraria il 16 marzo 1934: «Il secolo delle masse onnipotenti, il secolo dei “nomadi dell’asfalto”, il secolo delle algebre che creano forme di nuova oggettività, di nuova impersonalità, di assoluta potenza, il secolo “metallicamente arimànico” – un tale secolo è virtuale distruzione dell’epoca romantica, è travolgimento del ciclo umanistico, è fine – assolutamente – dell’“era letteraria”. Si tratta di vedere dove sbocchi un tale rivolgimento – e di tener fermo –. Si tratta di esaminare i processi che all’interno dei singoli rami della cultura umanistica possono acquistare il significato di una autoconsunzione liberatrice. Si tratta di fissare i valori attraverso i quali ciò che distrugge può avere – o acquistare – positività aprendo la via ad un’epoca nuova di serietà, di virilità, di impersonale superiorità: diciamo pure, ad una nuova epoca classica e tradizionale». Sono, praticamente, le stesse tesi di Cavalcare, risalenti però all’inizio degli anni Trenta.

Oltre a questo saggio – a parere di chi scrive, il più importante della raccolta, da cui sarà impossibile prescindere nei futuri studi evoliani –, l’antologia contiene analisi su specifici saggi del Barone, come I centri iniziatici e la storia, pubblicato nella seconda edizione accresciuta de L’arco e la clava (1971), ma anche focus su aspetti particolari della vita di Evola, come il suo rapporto con il gentil sesso ma anche le sue posizioni sulla celebre Legge Merlin del 1958, insieme ad approfondimenti su vari libri dedicati al filosofo, come Julius Evola. Un filosofo in guerra di Gianfranco de Turris (Mursia, 2016), Esoterismo e razzismo spirituale di Marco Rossi (Name, 2007), Evola e l’alchimia dello spirito (Ar, 2003) di Piero Di Vona (alla cui memoria, tra l’altro, è dedicato l’intero libro), I testi del Roma di Julius Evola (Ar, 2008) e Per un’altra modernità di Giovanni Damiano (Ar, 2013).

Un ultimo saggio riguarda invece le Attrazioni evoliane, ossia, per così dire, gli “evoliani che non ti aspetti”, quegli autori insospettabili che, spesso ben distanti dalle prospettive del filosofo, non mancarono di interessarsi alla sua opera. Da Italo Calvino, che chiese informazioni su Evola a Eugenio Scalfari (per la cronaca, allora collaboratore di «Roma fascista»), a Federico Fellini, da Piero Flecchia e Giampaolo Dossena fino a Oreste del Buono.

Oltre a questi, Consolato cita in apertura Giuseppe Sinopoli (immortale il suo Parsifal a Venezia, edito da Marsilio nel 1993) e il “compositore metafisico” Giacinto Scelsi. Per quanto riguarda il secondo, una testimonianza non molto nota è contenuta nella sua autobiografia Sogno 101, edita nel 2017 da Quodlibet, dove Scelsi spiega le circostanze in cui conobbe Julius Evola, alla vigilia della fondazione del Gruppo di Ur. Scelsi frequentava le conferenze organizzate da Evola e Mario Puglisi tra la fine del 1925 e il 1926 presso l’Associazione per il Progresso Morale e Religioso, animata da Giuseppe Tucci, Puglisi e Dante Lattes. Oltre a personalità del calibro di Adriano Tilgher, Roberto Assagioli, Roberto Pavese, Raffaele Pettazzoni, Luigi Valli, Massimo Bontempelli e Curzio Malaparte (questi ultimi direttori di quei Cahiers ’900 su cui nello stesso periodo era uscito il celebre saggio di Evola su Nietzsche), vi presero parte futuri collaboratori di Ur tra cui Ercole Quadrelli, Arturo Reghini, Giulio Parise, Nicola Moscardelli e Girolamo Comi. Lo stesso Evola vi tenne numerose conferenze a partire dal 1926. Ed ecco qualche stralcio della testimonianza di Scelsi, pubblicata integralmente e commentata su Studi Evoliani 2019, attualmente in fase di preparazione, che prende le mosse da Roberto Assagioli, celebre fondatore della psicosintesi: «Lo conobbi molti, molti anni fa, […] perché lui frequentava ogni tanto – ed io invece fedelmente – una certa Associazione per il Progresso Morale e Religioso, il cui direttore e presidente era il professor Puglisi. […] Questa associazione era riservata a conferenze con dibattito, filosofiche, religiose ed anche esoteriche; vi partecipava sempre Julius Evola, che era forse l’unico rappresentante di teorie un po’ diverse dalle altre. Difatti era quasi sempre attaccato dalla maggioranza dei partecipanti, che erano filosofi tradizionalisti, oppure pragmatisti, positivisti, gentiliani e così via. Ma lui devo dire che si batteva molto bene; era molto brillante e riusciva a tener testa alle obiezioni». Oltre alle conferenze, Scelsi andava spesso anche a casa di Puglisi, subito dopo la loro conclusione. Lì i dibatti continuavano: «Però, in fondo, di tutto quello che veniva detto, era quanto diceva Evola ciò che mi stimolava di più, che mi sembrava più vicino a quanto avrei voluto sapere».

Rimanendo invece in ambito cinematografico, se è noto l’interessamento di Fellini (documentato anche da Dario Argento in una sua intervista, citata da Consolato: «Anche Fellini era appassionato dell’occulto. Raccontava che una volta Julius Evola gli mostrò la gamba paralizzata e gli disse, un po’ scherzando e un po’ no: colpa di tutto l’occulto che ho studiato. Fellini si mise una paura matta»), non lo è altrettanto quello di Cesare Zavattini. Tempo fa mi sono imbattuto in una lettera – tutt’ora inedita – spedita da Evola al suo editore, Vanni Scheiwiller, il 16 maggio 1964, che afferma: «Ora è venuto fuori Cesare Zavattini (quello che lavora con De Sica), che dapprima si era rivolto a me per ordinare dipinti (!!!) poi ha acquistato e letto Cinabro, che lo ha messo “in un bel ginepraio” (parole sue). Vuole venire a conoscermi e desidera avere Cavalcare la tigre, che egli mi scrive di fargli “avere senz’altro contro assegno”. Egli si è espresso in modo simpatico e affettuoso nei Suoi riguardi. Veda se è il caso di mandare in omaggio – se no, per assegno».

Sono tutti frammenti che concorrono a offrire il quadro d’insieme di una vita e un’opera tanto eccentriche quanto esemplari. Segno del fatto che su Evola c’è ancora da dire molto – e il libro di Consolato ne è segno eloquente.