La razza dell'”uomo sfuggente”

Fin dai tempi antichi è stata riconosciuta l’analogia esistente fra l’essere umano e quel più grande organismo, che è lo Stato. La concezione tradizionale dello Stato – concezione organica e articolata – ha sempre rispecchiato la stessa naturale gerarchia delle facoltà propria ad un essere umano in senso completo, nel quale l’elemento puramente fisico e somatico è retto dalle fonti vitali; queste obbediscono alla vita dell’animo e al carattere, mentre al vertice di tutto l’essere, sta il principio spirituale e intellettuale, ciò che gli stoici chiamavano il sovrano interiore, l’egemonikon.

A tener presente queste idee ogni democrazia si presenta manifestamente come un fenomeno regressivo, come un sistema nel quale ogni rapporto normale è invertito. L’egemonikon è inesistente. La determinazione avviene dal basso. Manca ogni vero centro. Una pseudo-autorità revocabile al servigio di ciò che sta in basso – dell’aspetto puramente materiale, «sociale», economico e quantitativo di un popolo – corrisponde, secondo l’indicata analogia, ad una situazione che nel caso di un essere individuale sarebbe quella di una mente e di un principio spirituale che esistessero ed avessero la loro ragion d’essere unicamente come esponenti dei bisogni della corporeità, al servigio di essa.

L’avvento della democrazia significa qualcosa di più serio e di più grave di quel che oggi può sembrare dal punto di vista semplicemente politico, ossia come l’errore e la stupidissima infatuazione di una società che si prepara da sé la propria fossa. Infatti, non è azzardato affermare che il clima «democratico» è tale da non poter non esercitare, alla lunga, un’azione in senso regressivo anche sull’uomo come personalità e in termini sinanco «esistenziali»: appunto in seguito alle corrispondenze dianzi indicate fra l’individuo quale piccolo organismo e lo Stato quale grande organismo.

Una tale idea può trovare conferma se si esaminano vari aspetti della società più recente. Platone ebbe a dire che coloro che non hanno un signore in sé stessi è bene che, almeno, lo abbiano al di fuori di sé stessi. Ebbene, a ciò che è stato vantato come la «liberazione» dell’uno o dell’altro popolo, messo al passo, talvolta perfino con la violenza (come dopo la guerra mondiale), col «progresso democratico» eliminando ogni principio di sovranità e di vera autorità e ogni ordinamento dall’alto, oggi fa riscontro in un numero rilevante di individui una «liberazione» che significa l’eliminazione di qualsiasi «forma» interna, di ogni carattere, di ogni drittura: in una parola, il declino o la carenza nel singolo di quel potere centrale pel quale abbiamo ricordato la suggestiva denominazione classica di egemonikon. Ciò, non solo nei riguardi puramente etici, ma nel campo stesso dei comportamenti più correnti, della psicologia individuale, della struttura esistenziale. Il risultato è il diffondersi di un tipo labile e informe – di quella che si può ben chiamare la razza dell’uomo sfuggente. È una razza che meriterebbe di essere caratterizzata più partitamente di quanto sia possibile in questa sede: ricorrendo anche a metodi scientifici, sperimentali.

Il tipo di una simile razza non solo è insofferente per ogni disciplina interna, non solo aborre dal mettersi di fronte a sé stesso, ma è anche incapace di ogni serio impegno, di seguire una linea precisa, di dimostrare un carattere. In parte, egli non lo vuole; in parte, non lo può. Infatti, è interessante notare che tale labilità non è sempre quella che sia al servigio del proprio interesse privo di scrupoli, non è sempre quella di chi dice: «Non sono, questi, i tempi in cui ci si possa permettere il lusso di avere un carattere». No. In varî casi detto comportamento va perfino a danno delle persone in questione. È significativo, poi, che il tipo sfaldato di cui parliamo prende sempre più piede sia in aree dove la razza e la tradizione gli offrivano il terreno meno adatto (ci riferiamo soprattutto all’Europa centrale e ai paesi nordici, in una certa misura alla stessa Inghilterra), sia in ceti, quali l’aristocrazia e l’artigianato, gli appartenenti ai quali fino a ieri mantenevano ancora una certa forma interiore.

Infatti, sulla stessa linea disgregativa sta anche il declino di ogni «onore professionale», onore che ha rappresentato una espressione preziosa, nel campo pratico, della coscienza morale e anche di una certa nobiltà. Il piacere di produrre secondo la propria arte dando il meglio di sé stessi, con impegno e onestà, cede il posto al più basso interesse che non indietreggia dinanzi all’adulterazione e alla frode. Caratteristiche fra tutte sono le frodi alimentari, oggi divenute sfacciate e diffuse quanto mai, nelle quali è da notare non pure una irresponsabilità spesso delittuosa ma anche e appunto l’obliquità, la caduta di livello interiore, lo svanire di quel sentimento di onore che in altri tempi caratterizzava anche le più umili corporazioni. (In un dato settore, parallelamente alla industrializzazione, vi si sostituisce la proletarizzazione caratteriale e il ricatto sociale della cosiddetta «classe operaia», di coloro che non sono più che semplici «venditori di lavoro».)

Abbiamo detto che il fenomeno non riguarda solamente il campo morale. La labilità, l’evasività, l’allegra irresponsabilità, la disinvolta scorrettezza si dimostrano anche nelle banalità della vita di ogni giorno. Si promette una cosa – scrivere, telefonare, interessarsi di questo o di quello – e non lo si fa. Non si è puntuali. In certi casi più gravi la stessa memoria non viene risparmiata: ci si dimentica, si è distratti, si prova difficoltà a concentrarsi. Da specialisti è stata constatata, peraltro, la minor memoria delle nuove generazioni, fenomeno che si è cercato di spiegare con varie ragioni peregrine e adiacenti, mentre la vera causa e da vedersi nell’accennata modificazione del clima generale che sembra portare fino ad una vera e propria alterazione strutturale psichica. E se si ricorda ciò che acutamente ha scritto il Weininger sulle relazioni fra eticità, logica e memoria, sul significato della memoria su un piano superiore, non semplicemente psicologico (la memoria ha strette relazioni con l’unità della personalità, col suo resistere alla dispersione nei tempo, al flusso della durata; ha dunque anche un valore etico e ontologico: non per nulla un particolare rafforzamento della memoria ha fatto parte di discipline di alta ascesi, ad esempio nel buddhismo), si possono comprendere  le più profonde implicazioni di tale fenomeno.

In più, allo stile dell’uomo della razza sfuggente è naturalmente proprio il mentire, spesso il mentire gratuitamente, senza nemmeno un vero scopo; da qui un suo tratto specificamente «feminile». E se a qualcuno di tale razza si rinfaccia un simile comportamento, egli o si stupisce, tanto lo trova naturale, ovvero si sente urtato, reagisce con una insofferenza quasi isterica. Non si vuole essere «seccati». Nella cerchia delle proprie relazioni ognuno potrà constatare facilmente questa specie di nevrosi, solo che vi presti un po’ di attenzione. E si potrà anche rilevare come molte persone che ieri ci si illudeva di conoscere come amici e come uomini aventi una certa tenuta interna, oggi, dopo la guerra, sono irriconoscibili.

Del mondo dei politicanti coi suoi intrallazzi e con quel regime di corruzione che ha sempre caratterizzato le democrazie parlamentari ma che oggi viene in evidenza in modo precipuo e sfacciato, qui non è il caso di parlare, tanto è evidente la parte che in esso ha appunto la razza dell’uomo sfuggente, identica di là da tutta la diversità delle etichette e dei partiti. Vi è infatti da osservare che spessissimo non fanno eccezione coloro che professano idee di «destra» perché in loro codeste idee occupano un settore a parte, privo di contatti diretti e di conseguenze impegnative con la loro realtà esistenziale. Vale accennare, piuttosto, al carattere di una certa corruzione spicciola, specie nel campo sessuale, fra le nuove generazioni «emancipate», più o meno in chiave di «dolce vita». Essa è riconducibile alla stessa causa, alla labilità e all’inconsistenza. Non corrisponde a qualcosa di positivamente anticonformistico, all’affermazione di una superiore libertà, di una più pronunciata personalità. È invece l’effetto di un puro lasciarsi andare, così, in fondo, di una passività, di una banale caduta di livello – sul che, avremo da tornare, studiando il sottofondo di certe correnti ideologiche sessuologiche dei nostri giorni. Il posto dove dovrebbe trovarsi il «sovrano interiore», magari per opporre la pura legge del proprio essere ad ogni legge esterna, ad ogni ipocrisia o menzogna (Stirner, Nietzsche, Ibsen), è vuoto. Si vive alla giornata, in modo, tutto sommato, stupido. Donde, in qualche raro momento di presa di coscienza, disgusto e noia.

Mancanza di una autorità, di veri capi, all’esterno, nell’organismo dello Stato – e mancanza di una forma interiore nei singoli: l’una cosa è solidale con l’altra e l’una cosa corrobora l’altra, tanto da far pensare che forse si tratta di due diversi aspetti di un fenomeno unico dei nostri tempi evoluti e democratici.

(L’Arco e Clava, Edizioni Mediterranee, Roma 2000)