L’anticonformista Alfredo Cattabiani, sapienziale storico dell’Immaginario

Esattamente vent’anni fa si spegneva Alfredo Cattabiani, geniale quanto anticonformista editore e intellettuale, che molto ha fatto per la diffusione della cultura “tradizionale” nel nostro Paese. Ci piace ricordarlo riproponendo un lungo saggio di Gianfranco de Turris, uscito sul mensile «La Biblioteca di Via Senato» (n. 11, novembre 2013, pp. 7-12) con il titolo L’anticonformista Alfredo Cattabiani, in occasione del primo decennale della sua scomparsa.

F.J.E.

Non è nuova, anzi è usuale, la lamentela per la superficialità e la smemoratezza della nostra cultura ufficiale e giornalistica che sempre più spesso dimentica autori, anche importanti e significativi, scomparsi magari da non troppo tempo non ristampandone i libri e obliando gli anniversari che li riguardano. Tendenza purtroppo accentuatasi negli ultimi dieci anni, cioè dall’avvento di internet e delle cosiddette Reti Sociali che, alla fin fine, al di là di alcuni positivi aspetti pratici, si sono dimostrati media che, grazie alla quantità abnorme delle informazioni e alla loro velocità che tende a scalzarle fra loro e a porre sullo stesso piano fatti importanti e fatti banali, vero e falso, hanno propiziato il consolidarsi della superficialità e della tendenza alla smemoratezza personale e collettiva.
Non passa giorno in cui qualcuno non denunci che il tale scrittore, o pensatore, o filosofo, o poeta, o scienziato sia caduto nel dimenticatoio, nessuno lo ricorda più, le sue opere fuori catalogo. Ma è il “mercato” che funziona così, la cruda legge del best seller o pseudo tale, della rincorsa all’autore d’effetto – possibilmente giovane e donna –, del caso clamoroso. La merce cattiva scaccia la merce buona.
A soccorrerci e ad aiutarci a ricordare possono però essere i libri. Nel Fondo Moderno della Biblioteca di via Senato sono conservate molte opere di un intellettuale che da molti è stato dimenticato: Alfredo Cattabiani (Torino, 26 maggio 1937 – Santa Marinella, 18 maggio 2003), una personalità per di più penalizzata dal fatto di essere stato del tutto controcorrente rispetto alla cultura dominante in questo Paese.

Uno degli episodi che Cattabiani ricordava spesso era quel che avvenne durante il suo esame di laurea. Avvenne che il professor Norberto Bobbio gli scagliasse contro la tesi. Indignato perché era scritta con i piedi o insostenibile scientificamente? No. Indignato perché era dedicata al pensiero politico di Joseph de Maistre! «Una intollerabile provocazione», secondo un tipico modo di dire della Sinistra. Alfredo ritornava su quel fatto per dimostrare quale fosse il clima di faziosità e intimidazione nella Torino azionista del 1960. E a quali “maestri di vita” facesse essa riferimento: appunto un Bobbio che, come in seguito si apprese grazie a Pietrangelo Buttafuoco, non solo prestò giuramento al fascismo per poter diventare docente universitario, ma scrisse anche lettere di piaggeria a Mussolini per far carriera. Ma oggi si può ben dire che quella scena è veramente emblematica della sua vita, della sua battaglia editoriale, e riassume un po’ tutto il destino di un’area culturale. Combattere incessantemente contro chi non sa far altro che scagliarsi contro di te sol perché hai idee differenti. A priori. Per principio. Nessun “dialogo” (del quale tanto si fa l’apologia), nessuna discussione, nessun confronto pari a pari. Nulla.
E di questo Cattabiani fece le spese sulla propria pelle. Una esperienza che lo segnò per sempre, probabilmente anche nel corpo. Un clima, a oltre mezzo secolo dall’episodio e a dieci anni dalla sua morte, che non è poi molto cambiato. Delle sue molte attività culturali direttore editoriale e traduttore, giornalista e saggista, conferenziere e conduttore di programmi radiofonici io credo che in questa sede sia necessario ricordare soprattutto la prima, anche se non si deve dimenticare la sua opera di saggista: quella appunto di organizzatore culturale e direttore di case editrici. Lo fece per quasi vent’anni, dal 1962 al 1979, prima per le Edizioni dell’Albero e per la Borla a Torino, poi per la Rusconi Libri a Milano. È qui, con il suo lavoro e la sua intelligenza, che ha dimostrato concretamente come fosse possibile opporsi alla “egemonia culturale comunista” (come la definì alla fine degli anni Ottanta il politologo liberale Nicola Matteucci, anche se nessuno se lo ricorda più) quando se ne hanno le possibilità: sia traducendo autori del tutto trascurati o rimossi, sia scoprendo nuove firme italiane e straniere nella narrativa e nella saggistica. Che avesse capito quel che si doveva fare per contrastare il monopolio marxista e illuminista, stanno a dimostrarlo da un lato il successo commerciale delle sue scelte, dall’altro la forsennata ostilità della intellighenzia progressista, incontrastata su riviste e giornali dell’epoca. Fosse stato un incapace e un mediocre, non lo avrebbero preso in considerazione.
Con la sua direzione delle tre case editrici, Alfredo si propose in crescendo di mezzi di organizzare una produzione alternativa a quella egemone (la cattocomunista, per usare un termine coniato dal filosofo Augusto Del Noce, suo maestro a Torino e dopo) su diversi piani: culturale, ideale, religioso e metapolitico. Non amava le definizioni e le contrapposizioni Destra/Sinistra, che sapeva troppo di politica politicante, e amava definire l’altra cultura tradizionale o meglio sapienziale, la cultura della perennità contro l’effimero, del sacro e dello spirito contro il materialismo, della fantasia contro il neorealismo, della libertà contro il determinismo, della classicità contro il modernismo, dell’idealismo contro lo storicismo e lo scientismo. Era per la civiltà del commento rispetto a quella della critica, come direbbe Zolla, o per la civiltà del tempo rispetto a quella dello spazio, come direbbe Evola.
E nelle sue case editrici accolse tutte le varie anime di questa cultura, perché tutte si opponevano al degrado materialista e becero dominante allora come purtroppo ancora oggi. Ecco perché pubblicò nelle Edizioni dell’Albero ad esempio La grande paura dei benpensanti di Bernanos, o il saggio contro Emmanuel Mounier di Primo Siena, o L’uomo in allarme, il primo libro di Fausto Gianfranceschi; ecco perché per Borla scoprì organicamente (in precedenza si conoscevano in italiano solo un paio di opere) Mircea Eliade, messo al bando dagli storici delle religioni progressisti e marxisti con scuse politiche (è noto lo scontro Pavese-De Martino) traducendone diverse altre, la cui lettura ha aperto molte menti, e diede vita sia ad una collana di profili critici di scrittori italiani dove trovò spazio il primo mai pubblicato su Dino Buzzati, sia ad un’altra sotto la direzione di Augusto Del Noce ed Elémire Zolla, quei “Documenti di cultura moderna” che, coperti da un titolo tutto sommato anodino, riuniva autori “tradizionali” delle più diverse tendenze, da Schuon a Rosmini, da Burckhardt a Weil, da Pallis a Sedlmayr: autori e opere che offrivano una diversa “visione del mondo” ai giovani lettori di allora e che sono stati poi ripresi da altre case editrici sovente immemori di chi per primo li scoprì.

Molte di queste firme trasmigrarono alla Rusconi, una realtà organizzativa ed economica che permise a Cattabiani di impegnarsi a fondo nel suo progetto: ambizioso, al limite del temerario e della incoscienza, ma in parte riuscito, almeno fino a che la casa editrice appoggiò il suo direttore. Cattabiani operava a tutto campo: collane prestigiose e costose, ma anche collane tascabili e a basso prezzo, classici di filosofia trascurati o riscoperti ma anche narrativa da premi letterari. Possiamo ricordare alcuni filoni che aprì Alfredo? Dalla fantasy nel senso più alto e nobile con Il Signore degli Anelli (immediatamente respinto e boicottato dalla cultura di sinistra con Eco in testa) alla presentazione “vera” della civiltà dei pellerossa, dalla valorizzazione di autori sofisticati come Cristina Campo (poi riscoperta da Adelphi) a Guido Ceronetti (il cui romanzo Aquilegia, ignorato quando uscì da Rusconi, venne salutato come capolavoro quando fu ristampato da Einaudi), dal revisionismo ante litteram di Carlo Alianello, al primo serio contributo scientifico contro il darwinismo con le opere di Sermonti e Fondi; impose un filosofo emarginato perché non progressista come Augusto Del Noce, oggi ritenuto un maestro; offrì al grande pubblico l’opera difficile ma fondamentale di René Guénon, sino a quel momento confinata ai suoi adepti (anch’esso ripreso da Adelphi). Anche sottrasse alla cosiddetta “grande editoria” narratori di spicco, come tra gli altri Giuseppe Berto e Giorgio Saviane, che improvvisamente divennero dei poco di buono. Un vero scandalo, un attentato ai sacri principi, un complotto dei reazionari, una intollerabile provocazione! Appunto.
Insomma, Alfredo Cattabiani non aveva la minima paura di gettare sassi nello stagno o, meglio, in piccionaia: e i piccioni non solo protestarono, ma attaccarono tramutandosi in corvi, calunniarono, insinuarono, iniziarono campagne diffamatorie e insultanti, non perdevano occasione per stroncare o per silenziare. Insomma, si comportavano come si era comportato il prof. Bobbio. Anzi, fecero ancora di peggio, perché almeno quello di Bobbio fu un atto diretto ed esplicito. I “padroni della cultura” (per riprendere il titolo di un pamphlet a più mani che Alfredo provocatoriamente pubblicò) usarono l’arma subdola dell’insinuazione: la Rusconi Libri era nata proprio nel 1969-1970 perché faceva parte di un più ampio progetto di “restaurazione” non solo culturale ma politica in opposizione alla rivoluzione democratica e liberatrice del Sessantotto. Dietro c’erano la DC, i servizi segreti, i fascisti, la CIA. Follie? No, carta canta. Parole pericolosissime: quelli erano gli anni della “contestazione”, di Piazza Fontana, stavano iniziando gli “anni di piombo”, le Brigate Rosse sequestravano e sparavano, gli scontri di piazza fra destra e sinistra frequentissimi, Milano in specie era un campo di battaglia permanente. Le insinuazioni, più o meno esplicite, servivano a ghettizzare, a mettere in difficoltà la Rusconi nei confronti non solo degli autori italiani che pubblicavano con lei, ma anche i recensori, addirittura i distributori ed i librai. Una casa editrice che si batteva contro il comunismo, il progressismo, il materialismo, lo scientismo, i luoghi comuni storici e culturali dei progressisti, doveva essere isolata e distrutta. Ci fu chi scrisse che intorno ad essa bisognava creare “un cordone sanitario”, quasi fosse un morbo epidemico… E alla fine ci riuscirono.
Il risultato fu che la Rusconi, assediata da ogni parte, non riuscì più a sopportare quell’attacco: l’unica cosa da fare era prima affiancare, poi spostare, esautorare poco a poco e alla fine costringere a gettare la spugna il responsabile di tanto scandalo. Nel 1979 Alfredo Cattabiani abbandonò la Rusconi, abbandonò il lavoro editoriale, abbandonò Milano e si trasferì a Roma dove inizierà una nuova vita e un nuovo lavoro. Non fu persecuzione, quella? Che qualcuno osi negarlo ed osi dire si era all’interno di una normale “dialettica culturale”. È sufficiente sfogliare i fascicoli degli anni Settanta di riviste allora molto politicizzate (alcune delle quali nel frattempo scomparse), da «L’Espresso» a «Panorama», da «L’Europeo» a «Epoca», da «Vie Nuove» a «Rinascita», le “terze pagine” dei giornali di partito («L’Unità», «l’Avanti!», «Paese Sera») o di opinione, dal «Corriere della Sera» a «La Stampa», da «La Repubblica» a «Il Messaggero». Ne verrebbe fuori non solo una storia veritiera della cultura italiana durante la “contestazione” e gli “anni di piombo” in cui le parole venivano usate come pallottole per decretare la morte civile e intellettuale di una casa editrice e del suo direttore. Nei successivi ventitré anni Alfredo ha fatto il giornalista («Il Settimanale», «Il Tempo», «il Giornale»), il conduttore radiofonico (RAI), ma soprattutto il saggista (come testimoniano anche i tanti suoi volumi conservati presso la Biblioteca di via Senato) pubblicando molti titoli (alcuni con la moglie Marina Cepeda Fuentes) e, riordinando vecchie opere e progettandone nuove ha iniziato quella che aveva chiamato Storia dell’Immaginario, l’analisi del simbolismo insito nel mondo che ci circonda e che l’uomo moderno laicizzato non percepisce più non riuscendo più a leggere il Libro della Natura, il microcosmo e il macrocosmo. Un’opera d’immensa erudizione ma di stile piacevole e accattivante: per ultimi, nonostante la malattia che lo aveva aggredito, pubblicò nel 2000 Volario, nel 2001 Zoario e nel 2002 Acquario – tutti editi da Mondadori. Rimane incompiuto e inedito Terrario, e interrotto il suo enciclopedico progetto: Alfredo aveva soltanto sessantasei anni quando morì e avrebbe potuto avere il tempo per completarlo se il Fato non avesse deciso diversamente.

Per tutto quel che fece – ed è stato moltissimo, e solo oggi se ne raccoglie qualche frutto – Alfredo non ha ricevuto praticamente nulla, anche sul piano materiale: nonostante tanta ingratitudine ha lasciato un segno: tutti i filoni culturali da lui valorizzati e moltissimi degli autori da lui scoperti sono stati poi ripresi e rilanciati da altri, spesso purtroppo senza rendere merito a chi per primo li lanciò o li fece conoscere. La sua è stata una lezione ed una testimonianza, l’individuazione di un metodo, di un percorso e di uno stile. Quel che ha lasciato come retaggio culturale (compresa la sua opera di saggista) oggi ci appare fondamentale, e non glielo hanno ancora perdonato: non solo il silenzio assoluto o le striminzite notizie di agenzia pubblicate da alcuni “grandi giornali” alla sua morte dieci anni fa (oggi ancor meno), ma anche il ridimensionamento o la minimizzazione della sua persecuzione stanno lì a provarlo.
Volava forse troppo alto? Non direi. Era forse troppo intransigente? Nemmeno. Purtroppo lui, come alcuni altri, andava troppo contro il suo tempo, contro la cultura mercificata e banale da un lato, cinica e secolarizzata, ideologizzata sino alle midolla dall’altro: la cultura del mondo moderno, in poche parole. Però ci ha lasciato, oltre ai suoi libri, una immensa eredità di indicazioni e suggestioni, di coraggio intellettuale e di esempio morale che non deve essere assolutamente dispersa. Ci ha soprattutto insegnato che non è impossibile lottare contro un establishment che si riteneva e ancora si ritiene consolidato e intoccabile avendo ben capito, invece, come potesse essere combattuto con le sue stesse armi: quelle dei libri e della cultura. Chi non capisce questo, come sino ad ora a quanto pare non è stato capito, sarà sempre un born loser, un nato perdente, per quanti soldi possieda, per quante elezioni possa vincere. Se questo mondo che fugge ha come suo dio l’effimero e quindi l’oblio, Alfredo Cattabiani, che pure è stato costretto a lasciarci troppo presto come avviene per i migliori, ci ha indicato il permanente e la memoria.

(«La Biblioteca di Via Senato», n. 11,
novembre 2013, pp. 7-12, disponibile qui)