Evola non si convertì (mai) al cattolicesimo

In un colloquio con la  segretaria dello studioso francese Pierre Pascal, la signora Carmen Ciàn, pubblicato l’11 maggio scorso sul sito Barbadillo.it, l’intervistata ricorda, tra le altre cose, l’amicizia che legò Pascal al pensatore tradizionalista, la loro frequentazione nell’appartamento di Julius Evola al 197 di Corso Vittorio Emanuele, a Roma, affermando: «Pascal ci teneva a precisare che Evola non fosse affatto contro la religione» (fin qui nulla di male) e che «rifuggiva etichette “pagane”» (idem come sopra, in considerazione del disprezzo che sin dagli anni Trenta sempre riservò a un certo neopaganesimo “folkloristico” e “di maniera”). Il problema è semmai un altro. La signora prosegue, infatti, dicendo che fu l’ambiente giovanile che attorniava il filosofo, fortemente politicizzato, «a dargli l’etichetta di “pagano”. Ma Evola si faceva portare anche la comunione a casa. Era un vero outsider. Devo dire che queste persone, come Pascal ed Evola, più approfondivano le loro conoscenze e più erano vicini alla Chiesa, alla religiosità. Pensavano anche a salvarsi l’anima». Queste invece sono parole inaccettabili.
Ora, ad Evola è capitato davvero di tutto: accusato di essere, sic et simpliciter, un “fascista”, un “razzista”, di aver ispirato i “terroristi neri”, ora deve subire perfino l’onta di essere presentato come un “convertito” e un genuflesso “uomo di fede”. Naturalmente, non crediamo affatto che la testimonianza della signora Ciàn, che non conosciamo, sia stata resa in malafede. Si tratta di una persona anziana che, considerati i decenni trascorsi, ricorda male o confusamente, attribuendo a Evola un comportamento – il farsi somministrare la comunione “in incognito” – di altri. Per averne prova, d’altronde, basterebbe leggere la “testimonianza” resa   proprio da Pierre Pascal sul suo amico, quando lui stesso era ancora in vita, per vedere apparire toni ben diversi sul suo conto (cfr. Pierre Pascal, Lux evoliana, in Testimonianze su Evola, Edizioni Mediterranee, Roma 1973).
Ora, sappiamo bene che l’atteggiamento evoliano nei confronti del cattolicesimo è di certo più complesso di quanto si possa pensare. Al pari di Guénon, prescindendo completamente dalle proprie convinzioni, negli anni Trenta Evola tentò un approccio “strategico” alle gerarchie ecclesiastiche, proponendo loro contenuti di tipo autenticamente “tradizionale”, approccio che – esattamente come accadde al metafisico di Blois – non ebbe riscontro alcuno. Da quel momento in poi (a parte un fugace accenno ne Gli uomini e le rovine, all’inizio degli anni Cinquanta), Evola perse qualsiasi tipo di speranza.
Circa le sue idee personali, la situazione è ancora più chiara. Come scrisse anni fa Gianfranco de Turris, la profonda spiritualità di Evola «nulla aveva a che vedere con una religiosità di tipo devozionale, men che meno cristiana o cattolica, anche se il suo anticristianesimo giovanile (quello di Imperialismo pagano, del 1928) si era molto attenuato con una rivalutazione del cattolicesimo medievale (sin da Rivolta contro il mondo moderno, del 1934), senza mai andare più in là di affermazioni tipo: “Chi è cattolico tradizionalista è tradizionalista solo a metà”» (Letture, n. 549, agosto-settembre 1998).
Eppure, nell’ultima edizione di Rivolta, pubblicata dalle Mediterranee nel 1969, ci si imbatte in passaggi come questo: «Il cattolicesimo presenta talvolta dei tratti “tradizionali”, i quali però non debbono indurre all’equivoco: ciò che nel cattolicesimo ha carattere veramente tradizionale è ben poco cristiano e ciò che in esso è cristiano è ben poco tradizionale» (Rivolta contro il mondo moderno, Edizioni Mediterranee, Roma 1998, p. 332). Altro che prima comunione! Tale atteggiamento è evidente in tutta l’opera e perfino negli scritti giornalistici del pensatore. Inoltre, l’affermazione della segretaria di Pascal è smentita da tutti coloro che frequentarono Evola fino agli ultimi giorni di vita, per non dire della scelta del filosofo di non ricevere esequie religiose in chiesa. Se è vero che molti dei giovani che lo frequentavano negli anni Sessanta e Settanta – persone come Laszlo Toth, Fausto Gianfranceschi e Primo Siena – si sono convertiti partendo dalle posizioni espresse da lui e da Guénon, la sua posizione in merito è sempre stata inequivocabile, come Evola ha dichiarato al già citato de Turris nel novembre 1970. C’è chi si avvicina alla fede per trovarvi cose come «il senso della vita» o «la sicurezza». Ebbene, dice il filosofo, «io mi guarderei dal disturbarlo, se resta nel suo dominio e se ne sta tranquillo». Le cose cambiano però per chi lo fa partendo da posizioni metafisiche più elevate: «Allora si deve parlare senz’altro di una regressione o di un fallimento» (Incontro con Julius Evola, in L’Italiano, novembre 1970). Chiaro, no?
Prima di chiudere aggiungiamo un ulteriore dettaglio. Nel 1949 Padre Clemente Rebora, sacerdote-poeta animato da profonda religiosità, su richiesta di Goffredo Pistoni si recò in visita da Evola proponendogli di recarsi a Lourdes (ovviamente per cercare di ottenere una miracolosa guarigione). Il 3 gennaio 1971 (tre anni prima della morte), in una missiva indirizzata a Pistoni, Evola torna sull’incontro con Rebora e si esprime in termini risoluti e chiari sull’episodio, parlando della «supposizione piuttosto offensiva che la semplice banale prospettiva di venire a capo del mio handicap fisico fosse tale da farmi accostare ad una fede che mi è estranea» (La Torre, n. 61, maggio 1975, p. 11). Altro che “conversione strategica”! Evola non fu mai cristiano. Non abbiamo niente da aggiungere, e ci auguriamo che queste precisazioni documentate mettano un punto definitivo su tutta la questione in modo che non vi possano essere speculazioni di qualsiasi tipo su un fatto che semplicemente non esiste.