Le avventure di Mirella nel Paese delle bufale. Analisi di un romanzo di fantascemenza

1. Nel magico mondo della storiografia dilettantesca

Nel magico mondo della storiografia dilettantesca, talvolta capita che un giornalista s’improvvisi cultore di materie tra le più disparate, magari per cavalcare l’attualità entrando nel catalogo di qualche editore importante e gonfiando a suon di like su Facebook la propria notorietà. Uno dei mezzi più immediati per realizzare il miracolo è la formula terribile dell’instant book, libri che durano il volgere di una stagione, soppiantati prontamente da altri più utili allo scopo. Il tutto sempre livellato sull’attualità, sulle agende giornalistiche, mai una prospettiva più ampia, mai qualcosa destinato a durare… In realtà, non è poi così difficile scrivere un instant book: prendete qualche citazione qua e là, dalla rete, da Wikipedia, sui social network, da dove vi pare, senza mai dichiarare la fonte («I libri devono essere agili…»); mescolate il tutto e aggiungete ricostruzioni sommarie un tanto al chilo, idee dell’autore spacciate per verità consolidate e parole d’ordine sottratte al conformismo più asfissiante.
Ecco la ricetta dell’ultimo capolavoro di Serri Mirella, intitolato Uomini contro. La lunga marcia dell’antifemminismo italiano, edito da Longanesi qualche mese fa. Una lettura sommaria basta a evidenziarne la superficialità e il pressapochismo; a volerne sottolineare le imprecisioni e gli errori ci sarebbe da riportare tutto il libro, il cui manifesto programmatico è espresso dall’autrice nell’introduzione: «Un revival dell’antifascismo è oggi dunque quantomai opportuno» (p. 16). Uno stile un po’ claudicante per un intento chiarissimo: rianimare l’antifascismo in assenza di fascismo, riportare l’orologio della storia indietro di qualche decennio, nella speranza che il ricorso a vecchi dogmi possa mascherare l’incapacità di interpretare il presente. Ecco l’imperativo cui è possibile sacrificare qualsiasi cosa – anche la cura storiografica.
Per quanto ci riguarda, occupandoci dell’opera di Julius Evola, nella nostra analisi ci soffermeremo sui tre capitoli dedicati alla sua figura. Partiamo dalla bibliografia, che cita una serie di opere evoliane ben poco contestuali al tema “femminismo” (tipo Il Taoismo o Râaga blanda), tralasciandone altre impossibili da ignorare, come Il problema della donna, edito qualche anno fa dalla Fondazione, che raccoglie i materiali evoliani sul tema tra gli anni Venti e i Settanta. In ambito di letteratura secondaria – del tutto mancante nella bibliografia della dotta scrittrice –, naturalmente viene ignorato Le tre soluzioni di Julius Evola di Sandro Consolato (Arŷa, Genova 2020), dove vari capitoli sono dedicati a Evola e le donne, demolendo molti dei luoghi comuni ripetuti pappagallescamente in Uomini contro. Dal momento che ambedue sono stati stampati negli ultimi anni e non sono reperti introvabili, forse una googlata in più non avrebbe fatto male. Se è per questo, d’altronde, non solo la Serri ignora la bibliografia più aggiornata sul tema, ma usa pure male quella che cita.

2. Il più feroce antifemminista di Destra?

Naturalmente, i tre capitoli dedicati al Nostro ne evidenziano la misoginia, che Evola avrebbe trasmesso prima al fascismo, da «Cattivo Maestro» (p. 14), e poi al Movimento Sociale Italiano, diventando uno degli anelli della catena dell’antifemminismo italiano. Anzi, l’anello par excellence, dato che nella fantastoria serriana è l’autore più trattato nel contesto della Destra. Ecco, in poche parole, la tesi: la Destra del Novecento nella sua totalità sarebbe stata misogina, e lo sarebbe stata soprattutto per colpa del filosofo romano.
Ne deriva che sarebbe l’antifemminismo uno dei tratti fondamentali del pensiero evoliano: «Per la società italiana, secondo Evola, […] i nemici erano gli ebrei e le donne emancipate» (pp. 148-149). Naturalmente non è così, e fare di un atteggiamento privato – che comunque ci fu, e negarlo sarebbe disonesto – la cifra fondamentale del pensiero di un autore è semplicemente pessima storiografia, che spinge l’autrice a lanciarsi in affermazioni virulente come quella secondo cui «il “barone nero” […] negava alle donne l’accesso alle professioni più qualificate» (p. 159). Quando mai avrebbe impedito a qualche donna di avanzare professionalmente? È solo uno dei tanti misteri di Uomini contro, che d’altronde non ha una nota a piè di pagina, né qualsiasi riferimento alle fonti. Una povertà che trasforma un instant book in un romanzo di “fantastoria”, di fantascienza, anzi di “fantascemenza”, secondo la celebre definizione data da Mike Bongiorno alla narrativa fantastica – definizione ovviamente riduttiva per la fantascienza vera, ma più che appropriata per un libro del genere.

L’ultimo romanzo fantastorico di Serri Mirella.

Ora, ribadiamolo, se nessuno nega la “misoginia pratica” di Evola, di stampo prima weiningeriano e poi “futurista”, è però anche necessario ricordare che spesso era una posa, come rivelano molte testimonianze di chi lo conobbe e frequentò. Così, il direttore di Edizioni Mediterranee Giovanni Canonico ha più volte ricordato come, in sua presenza, Evola avesse donato a una giovane ragazza sfigurata in viso, che insieme ad altri frequentava casa sua, un assegno con alcune migliaia di lire – il diritto di autore di alcune sue opere – per provvedere a una operazione di plastica facciale molto costosa. Per poi non dimenticare due donne che gli furono vicine sino alla fine dei suoi giorni: Maria Antonietta Fiumara e la contessa Amalia Baccelli. La prima fu la depositaria delle ultime volontà del filosofo, mentre l’altra gli diede in comodato (cioè in uso gratuito) l’appartamento di corso Vittorio 197. È la stessa Fiumara a ricordare un Evola molto diverso da quello noto ai più, che traspare da una dedica apposta a un quadro che le regalò. A quel tempo la giovane era molto cupa, incerta del futuro e piena di dilemmi esistenziali, ed Evola le scrisse:

A Maria Antonietta Fiumara, con gratitudine per il suo lungo, fedele e affettuoso essermi stata a fianco, perché abbia il senso di una esistenza che si è affermata malgrado la sensazione del vuoto della vita. Julius Evola, Natale 1963

Le scrisse queste parole, come la diretta interessata ha raccontato nel corso di un’intervista, per dimostrarle la non inutilità della sua esistenza. «Era una persona fuori dal comune, particolare, di alta spiritualità ma anche di grande umanità. Aveva questo distacco dal mondo, però nello stesso tempo era una persona molto umana. Molto buona. Poche persone – forse Amalia Baccelli – hanno potuto conoscerlo come l’ho conosciuto io». Parole confermate dalla stessa nobildonna romana: «La sua pazienza, la sua generosità, ecco forse quello che di lui non si conosceva e che lui non voleva mostrare».
Parole come queste incrinano la misoginia monolitica di solito attribuitagli – che però, è giusto dirlo, il diretto interessato non ha fatto quasi nulla per nascondere, in colloqui privati e in lettere, marcati spessi dal gusto di apparire paradossale, come una blague per épater les bourgeois. Ma qui, per l’ennesima volta, il discorso è diverso: è possibile dedurre da testimonianze private il fatto che Evola sia stato il principale teorico del “maschilismo di Destra” italiano? Quanti libri o articoli di giornale ha scritto apertamente contro le donne? Quante conferenze ha tenuto tuonando contro il femminismo? Suvvia!
Eppure, l’impavida Serri Mirella, nel suo j’accuse (p. 144), non si pone troppe domande e scrive che per Evola la condizione di sposa – moglie e madre – sarebbe il coronamento dell’essere donna. Parole messe in bocca a un uomo che non si era mai sposato, che non assegnava quasi alcun valore a figli e famiglia, e che in Metafisica del sesso aveva scritto pagine spietate contro la maternità («Sarebbe difficile indicare che cosa la maternità abbia di sublime»!). Tesi attribuite a qualcuno che nei “patriarcali” anni Quaranta difendeva pubblicamente le “ragazze madri”, scrivendo che in caso di abbandono del tetto coniugale non è la donna a dover cadere sotto il disprezzo pubblico ma l’uomo venuto meno al proprio dovere. Peccato che le informazioni appena riportate siano discusse e documentate nei testi succitati, che Serri Mirella non ha trovato il tempo di leggere (o forse nemmeno conosce…), preferendo le potenti atmosfere della metafisica taoista e le volute letterarie avanguardiste di Râaga Blanda, affascinanti certo, ma ben poco contestuali a femminismo e affini.
Quanto al “tipo di donna ideale” di Evola … Beh, il diretto interessato ne ha parlato negli anni Sessanta, stilando un profilo ben diverso da quello che si immagina l’impettita “scrittrice” di cui stiamo parlando. È una donna con pochi complessi di inferiorità e autonoma, indipendente, libera, che vede l’uomo come un suo pari, senza rapporti di sudditanza reciproca. È quella descritta da Franz Matzke, leader della Nuova Oggettività di cui è adepto Evola, come «una compagna di esistenza, forse più intima e fidata, a cui, anche non sapendo se un giorno ci lascerà, si resta intanto fedeli; una compagna, alla quale ci legano internamente forze estranee insondabili, della quale sappiamo molto – come lei di noi – ma che tuttavia in molto, nell’essenziale, ci è di nuovo estranea» (Nuova essenzialità, neorealismo e realismo socialista, in «Ordine Nuovo», febbraio 1958). Piaccia o no a Serri Mirella, le cose stanno così. Avrebbe potuto averne contezza se avesse letto le pagine di Sandro Consolato, cui rimandiamo per i dettagli. Ha preferito optare per leggende metropolitane e “sentito dire”. D’altronde, come già detto, in nome dei “revival antifascisti” anche la scientificità è sacrificabile – insieme alla credibilità, ovviamente.

3. Passo dell’oca e canapa indiana

Se è piuttosto grossolano dire che Evola fu il teorico dell’antifemminismo nel Ventennio – nel quale non solo non si occupò quasi mai del tema ma ebbe una posizione piuttosto marginale –, il discorso vale anche per il secondo dopoguerra. «Il filosofo è stato un riferimento importante all’interno del Msi» tuona la nostra “storica” (p. 15), ma è tutto da dimostrare, dato che, al contrario, subì un costante ostracismo “ai piani alti” e fu letto soprattutto dai “fuoriusciti”, di fatto avendo attaccato a più riprese tutto il rosario del MSI: l’americanismo, l’infatuazione gentiliana, il cristianesimo, un culto della RSI mai condiviso, essendosi lui rifiutato di spostarsi al nord durante gli anni che videro nascere e tramontare la Repubblica Sociale Italiana.
In realtà, la Serri dovrebbe saperlo, dato che lo scrive pure… prendendo però un notevole granchio. Secondo la sua narrazione fantastorica, infatti, il Nostro non criticò la RSI per il suo carattere socialista – come ribadì fino allo sfinimento in articoli e libri, tipo Il fascismo del 1964, peraltro presente nella bibliografia serriana – ma «perché era convinto che nella Repubblica di Mussolini pure le donne avevano mutato costumi e abitudini» (p. 153). E i conti tornano, in una delirante analisi che rilegge la storia di un secolo alla luce del femminismo militante.
Gli errori compiuti dalla “scrittrice” riposano su due incomprensioni fondamentali, che hanno come chiave di volta l’arcinota espressione di Giorgio Almirante “il nostro Marcuse”, riferita appunto a Evola. Il problema è che una ricerca non dovrebbe fermarsi a queste parole, scavando un po’ di più, magari con l’ausilio di libri e documenti e non con le armi di una critica oltranzista dall’orizzonte meramente giornalistico.
Dietro a queste parole, pronunciate dal dirigente missino nel caldissimo 1968, quando ormai è impossibile ignorare l’ascendente evoliano su alcuni giovani militanti, si cela infatti un rapporto conflittuale, che esplose soprattutto prima della fine della Seconda guerra mondiale, in una sassaiola organizzata dai “razzisti di Regime” contro il nebuloso, filosofico e inapplicabile “razzismo spirituale” evoliano. La Serri dovrebbe saperne qualcosa, dato che a p. 134 del suo libretto cita un articolo risalente proprio a quella polemica (uscito su «La difesa della razza» il 5 maggio 1942) omettendo di dire, però, che il fuoco della polemica è Evola. Ecco l’estratto riportato in Uomini contro: «Il razzismo ha da essere cibo di tutti e per tutti, se veramente vogliamo che in Italia ci sia, e sia viva in tutti, la coscienza della razza. Il razzismo nostro deve essere quello del sangue, che scorre nelle mie vene, che io sento rifluire in me, e posso vedere, analizzare e confrontare col sangue degli altri». Fin qui la citazione della Serri, da lei attribuita… a Pino Romualdi, quando in realtà è di Almirante! Ed ecco come prosegue: «Il razzismo nostro deve essere quello della carne e dei muscoli, […] non di uno spirito vagolante tra le ombre incerte d’una tradizione molteplice o di un universalismo fittizio e ingannatore». A chi è diretta la critica? Perché la Serri rimane sul vago? Semplice: il bersaglio di queste righe è… Evola, giudicato dai razzisti “ufficiali” di allora – tra cui Almirante, appunto – un antirazzista! Altro che “nostro Marcuse”…

Giorgio Almirante, che secondo Serri Mirella si sarebbe ispirato a Evola per formulare la dottrina di un «libero amore di Destra».

Se il primo fraintendimento è basato sulla confusione delle fonti – difficile capire se dettata da ignoranza o malafede –, il secondo è decisamente esilarante.
Ora, è noto come il dirigente del MSI contrapponesse Evola a Marcuse per la sua complessa filosofia della storia, in grado di rappresentare un’alternativa culturale alla “visione del mondo” marxista di Marcuse – entrambi criticavano il capitalismo, la massificazione e la società dei consumi, partendo però da presupposti ben diversi. Ebbene, per Serri Mirella questa spiegazione è troppo lineare, forse troppo patriarcale. La verità è un’altra. Si sarebbe guadagnato l’epiteto in quanto… difensore dell’«amore libero di destra» (p. 15). Sì, avete capito bene. In un periodo non ben precisato, il MSI sarebbe stato intenzionato a elaborare una dottrina dell’amore libero (!!!) contrapposta a quella dei “contestatori”, e – udite udite – lo avrebbe fatto arruolando proprio lui. Fantastoria allo stato puro – come altro definirla, dal momento che a suffragio di questa ricostruzione non è citata nemmeno una fonte? «Il teorico della destra estrema con il suo pensiero seduceva i vertici del MSI» ribadisce ispirata. «Almirante, segretario del Movimento sociale italiano, individuò analogie tra la speculazione del filosofo dedicata all’eros e alla mistica dell’orgia e la riflessione libertaria di Herbert Marcuse» (p. 175). Lo confessiamo: è molto difficile prendere sul serio queste parole, considerando il “conservatorismo” diffuso a destra negli anni Sessanta – che Evola stesso, peraltro, attaccò a più riprese. Nelle ricerche svolte tra le molte storie del MSI disponibili sul mercato non ci siamo imbattuti in alcun tentativo almirantiano di organizzare un’“Isola di White” con gagliardetti, oppure orge al cospetto di busti del Duce. Che Serri Mirella ci dica le sue fonti – le abbiamo cercate anche nella sua bibliografia, invano. Allora, e solo allora, la prenderemo sul serio.
Qual è, secondo Uomini contro, il portato del pensiero evoliano all’interno del MSI? Di testimonianze a riguardo ce ne sono a bizzeffe, contenute in libri come Fascisteria di Ugo Maria Tassinari oppure nella cosiddetta “Trilogia della celtica” di Nicola Rao, editi dalla Sperling & Kupfer, nella collana diretta da Luca Telese – manco a dirlo, assenti nella bibliografia serriana, così come latitano gli studi di Adalberto Baldoni, Sandro Forte, Antonio Carioti, Giuseppe Parlato, Gianfranco de Turris… Stando a tutte queste pubblicazioni, in sintesi, il filosofo avrebbe svecchiato il neofascismo, introducendo temi e autori ignoti alle frange missine più militanti: la storia delle religioni, il tradizionalismo, il problema della “visione del mondo”, l’anticapitalismo e l’antiamericanismo, una filosofia politica basata sul primato dello Stato sulla società, la critica del consumismo… Al contrario, secondo l’analisi fantastorica della Serri, il tenebroso guru di corso Vittorio 197 avrebbe consegnato ai giovani missini solo due testimoni: l’uso della droga (!) e la pratica dell’orgia (!).
«Si stava diffondendo l’uso di sostanze psichedeliche e i giovani del Msi ebbero anche loro il guru di riferimento», cioè Evola. «Tramite le sue riflessioni si sentivano esortati a emulare nella trasgressione la “gioventù bruciata” e poi gli hippie e gli adepti dei movimenti di sinistra che facevano i viaggi allucinati in India sull’esempio dei Beatles» (p. 147). A quanto ci risulta, il conservatorismo missino non ha mai tollerato l’uso degli stupefacenti, che potrà essere stato praticato da alcuni militanti, ma di certo ad insaputa dei “quadri”. Difficile quindi assegnare credibilità a binomi tipo “passo dell’oca e canapa indiana”… Anche in questo caso, attendiamo che Serri Mirella ci dica le fonti da cui ha tratto questi scoop.
Ma poi, che c’entra l’uso delle droghe con l’antifemminismo? Presto detto: «Solo gli uomini dotati di forza di volontà riuscivano, secondo Evola, a […] fare un uso controllato delle droghe limitandone i danni e la dipendenza. Il filosofo ne concedeva l’uso agli Eletti, a personalità speciali: queste speculazioni, insieme alle riflessioni sul mondo femminile, furono come miele per i missini che se ne nutrirono anche perché guardavano con ostilità ai progressi delle donne» (p. 146). Ecco, dunque, i termini dell’equazione: per alimentare il proprio antifemminismo, i missini cominciano a drogarsi in massa con il benestare della dirigenza (!) e trovano un punto di riferimento in Evola (!), le cui esperienze con gli stupefacenti si sono peraltro chiuse negli anni Venti.

Julius Evola negli anni Venti.

C’è poi l’altra, pruriginosa, “eredità”. Evola, si legge in Uomini contro (p. 143), «teorizzava come estremo confine della libertà l’orgia e il sesso di gruppo» (!). Sarebbe stato, nelle parole della Serri, un «teorico dell’orgia». Questa qualifica è interessante perché elaborata dalla destra cattolica – dunque, “patriarcale” – per squalificare Metafisica del sesso nel 1958, quando il libro uscì, e rubata dalla nostra storica. D’altronde, come vedremo, la Serri non si abbevera solo alla fraseologia del patriarcato democristiano, ma non disdegna nemmeno fonti più antiche, come l’Ovra!
Ora, di orgia Evola parla appunto in Metafisica del sesso, nel capoverso 28 del secondo capitolo, soprattutto in riferimento a civiltà arcaiche, nelle quali tale pratica ebbe un inquadramento rituale. Nessuna “proposta per l’attualità”, insomma, ma uno studio incrociato delle forme assunte dall’“orgia rituale” in civiltà sparse nello spazio e nel tempo, secondo il “metodo comparativo” da lui utilizzato in tutte le altre opere, sin dagli anni Trenta. Nessuna “ripresa” o “rilancio”, così come non se ne trovano negli autori che cita Evola, da Mircea Eliade a Giordano Bruno – a cui potremmo aggiungere nomi come Giorgio Colli e Gilbert Durand, che hanno trattato il tema da un punto di vista storico. Teorici dell’orgia pure loro? Evidentemente questa pretesa “attualizzazione”, tra i piatti forti della “fantascemenza” di cui stiamo parlando, ben lungi dall’appartenere a Evola, è tutta nella testa dell’autrice che, tanto per cambiare, si guarda bene dal dirci dove il filosofo romano ne avrebbe parlato.
Comunque e in ogni caso, si tratta di distinguo troppo grossolani per Serri Mirella. Guardate con che raffinatezza dimostra le proprie tesi: «Da un punto di vista politico il filosofo approvava la violenza in tempo di pace, gli attentati verso obiettivi politici. E anche lo stupro che in guerra era non solo tollerato ma incentivato come un’arma per intimorire e prostrare i civili. L’orgia era lo stupro in tempo di pace, era il mezzo attraverso cui il legionario e il guerriero in epoca di “normalità” potevano affermarsi come tali sopraffacendo il genere femminile. La teoria evoliana dell’orgia sarà la risposta di destra alla proclamata libertà sessuale delle donne di sinistra, sarà uno dei modi per fronteggiare l’onda d’urto del libertario Sessantotto studentesco e del movimento femminista altrettanto libertario che scendeva in piazza e protestava contro la famiglia tradizionale e i cliché conservatori. I giovani di destra si identificavano con i legionari e gli Eletti. Ma proprio la teoria dell’orgia evoliana diventò il paradigma di inaudite violenze e di ferocia, una filosofia destinata a concretizzarsi in orrori e massacri» (p. 162).
Naturalmente non c’è una fonte, una citazione, né un’indicazione su dove Evola avrebbe detto simili atrocità – che, infatti, non disse mai, né scrisse. Essendo una delle tesi fondamentali del libro, forse l’“indagatrice dell’orgia” avrebbe dovuto approfondire di più. Poche, d’altronde, sono le citazioni di Metafisica del sesso nei capitoli in questioni – tutte presenti online, peraltro, nei due o tre articoli dedicati all’analisi evoliana dell’orgia. Un caso? Fino a un certo punto, come vedremo a breve.

4. Le fonti di Serri Mirella: dall’Ovra a Wikipedia, passando per il revisionismo gastronomico

Inutile elencare le decine di errori commessi nella rêverie serriana. Ma qualcuno lo possiamo ricordare, così, per pignoleria: consideratelo un piccolo intermezzo comico, in attesa di affrontare argomenti che di comico hanno ben poco.
Molte di queste inesattezze sono tutto sommato “innocue”, nel senso che non deformano le teorie di Evola ma derivano solo da una pessima ricerca storiografica. Nessuna malafede, dunque: solo ignoranza. Così ad esempio, secondo Serri Mirella, Evola occupò l’appartamento della già citata Amalia Baccelli fino alla morte di lei (p. 141). Il problema è che la nobildonna è scomparsa nel 1984, dieci anni dopo morte di Evola! E che la contessa partecipasse alle riunioni dei Fasci d’Azione Rivoluzionaria, come si legge in Uomini contro (p. 136), è tutto da dimostrare. Basterebbe dare un’occhiata a Un filosofo in prigione di Guido Andrea Pautasso, edito da Oaks nel 2021, per averne contezza. Eppure – colpo di scena! – il testo è citato dalla Serri in bibliografia. Forse l’autrice, leggendolo, si è imbattuta nella descrizione del “processo dei trentasei”, dove in aula era in effetti presente la Baccelli, ma tra il pubblico e non tra gli imputati! Chissà, avrà fatto confusione…
Continui scivoloni, come quando a p. 145 scrive che Evola si dà alla pittura tra il 1915 e il 1921, aggiungendo: «Poi si dedicherà alla scrittura di poesie», mentre i primi componimenti risalgono a metà degli anni Dieci. Eppure, bastava vedere il sottotitolo di Râaga Blanda, antologia poetica anch’essa citata in bibliografia il cui sottotitolo recita: Composizioni 1916-1922. Tanto per restare in ambito artistico, a p. 143 dice che il giovane avanguardista si laccava le unghie di viola (quando il suo colore era il verde).
Venendo agli anni Cinquanta, in Uomini contro scopriamo che al bolognese Centro Putti, dove Evola era ricoverato, questi «era degente in una stanza con altri pazienti» (p. 142), quando in realtà aveva una stanza per sé, oppure che la camionetta che lo portò alla riunione del Raggruppamento Giovanile del MSI «li abbandonò per un paio di volte su strade non ancora riassestate» (p. 141), mentre non uscì mai da Bologna. In quell’occasione, Clemente Graziani gli avrebbe detto: «Damme la carrozzina. Te la sistemo io» (p. 142). Non solo Evola, come noto, non usò mai la carrozzina – questione di stile –, ma difficilmente Graziani si sarebbe rivolto in questo modo a lui. Da chi ha avuto queste informazioni, che sembrano molto precise? Quel pomeriggio erano in tre: Graziani, Fausto Gianfranceschi e Fabio De Felice. Attendiamo aggiornamenti!
Errori sciocchi, piccole imprecisioni da penna rossa… Esilaranti i passaggi enfatici in cui si dice che i missini individuarono in Evola «il loro nuovo Duce» (p. 138). In senso metaforico? Mica tanto: «I giovani che volevano far rivivere il Duce avevano trovato un sostituto del dittatore, un pensatore ma anche un condottiero» (p. 142). Un condottiero impossibilitato a marciare alla loro testa! Si sfiora il ridicolo. Qualche altro esempio? Lo scenario che attende la Polizia politica il giorno in cui il filosofo è arrestato per la faccenda dei FAR: «Nell’abitazione di Evola le pareti erano ricoperte di librerie, con volumi rilegati in cuoio marocchino, e vi erano almeno una decina di busti in bronzo del Duce, oltre ai fasci, gagliardetti e bandiere» (p. 155). Chi glielo avrebbe raccontato?! Alle pareti di casa Evola c’erano dipinti, non oggettistica “nostalgica”, e nessuna delle decine di testimonianze raccolte nel corso dei decenni menziona suppellettili del genere, discorso che vale anche per le molte foto scattate nell’appartamento, nel corso di interviste televisive.

Una foto dell’appartamento di Evola, dove secondo la Serri «vi erano almeno una decina di busti in bronzo del Duce, oltre ai fasci, gagliardetti e bandiere».

Nella sequela di svarioni di Uomini contro non mancano nemmeno fallaci attribuzioni di citazioni, a dimostrazione della serietà dell’autrice, che un certo punto riporta questa frase del filosofo, ipoteticamente scritta nel 1951: «Ho assistito a un convegno in cui si dibattevano proposte che non avrei voluto sentire, come quella della democristiana Maria Federici» (p. 157). Il problema è che la frase non è di Evola, ma del principe del foro Francesco Carnelutti, che lo difese durante il processo dei FAR. L’ennesima figuraccia.
Che l’avvocato non rientri nelle simpatie della nostra “storica” non è un mistero, come emerge altrove nel libro. Ad esempio, nel corso della sua requisitoria la Serri scrive che «le pagine di Evola più apprezzate da [Aleksandr] Dugin sono quelle che teorizzano ordine, stabilità e saldezza realizzate in una società capace di esprimere valori gerarchici, antiedonistici e antifemministi, dal momento che la crescita del ruolo femminile provoca lo smarrimento del “senso della virilità” nel mondo contemporaneo». Siamo sicuri che le cose stiano proprio così? Per dipanare questo ennesimo equivoco, basta tornare ancora una volta alla scarna bibliografia, che di Dugin cita La quarta teoria politica e basta, mentre la Serri avrebbe dovuto consultare soprattutto Teoria e fenomenologia del soggetto radicale, contenente un lungo saggio intitolato Astrazione e differenziazione in Julius Evola, e I templari del proletariato, uno dei cui capitoli è intitolato Evola visto da sinistra (per la cronaca, è seguito da un altro che ha per titolo Marx visto da destra). Se avesse dato un’occhiata a questi due libri, editi da Aga negli ultimi anni e disponibilissimi online, si sarebbe resa facilmente conto che le pagine evoliane predilette da Dugin non sono quelle “antifemministe” e “patriarcali” ma le altre, più “interiori”, di Cavalcare la tigre, libro su cui il filosofo russo ha meditato per tutta la vita…
E invece no, la Serri prosegue implacabile, e snocciola una delle frasi evoliane predilette da Dugin. Eccola: «Il parto è il punto di partenza e non di arrivo dal momento che la missione della donna è quella di madre» (p. 217). Frase assurda, considerando quanto già detto sulla maternità. Ed ecco che qui, incredibile ma vero, per la prima volta nei capitoli di cui stiamo parlando… è indicata la fonte. Eccola: «in Guido Pautasso, Il filosofo in prigione» (p. 217). Il problema è che, per l’ennesima volta, la citazione non è di Evola ma… sempre di Carnelutti, tratta dai suoi diari, come d’altronde ben precisato nel libro di Pautasso!

L’avvocato Francesco Carnelutti, che difese Julius Evola nel processo dei Fasci d’Azione Rivoluzionaria.

A onor del vero, c’è da dire che Serri Mirella non è sempre così sommaria nei giudizi. A proposito dei Fasci d’Azione Rivoluzionaria, le parole su Federico Umberto Amato, eroico Líder Máximo della Polizia politica che ha inchiodato Evola nel “processo dei trentasei”, non sono altrettanto spietate. Giudicato nel 2020 uno dei mandanti della strage di Bologna, la “spia intoccabile”, nella definizione di Giacomo Pacini, è definito da lei «un funzionario a cui piaceva la buona tavola e che successivamente firmò una rubrica gastronomica per il settimanale L’Espresso» (p. 154). Un po’ riduttivo, non credete? Ma no, non protestate, potreste diventare anche voi pedine dell’antifemminismo!
Un altro piccolo capolavoro riguarda l’incontro Evola-Mussolini, che ebbe luogo nel settembre del ’41, quando il Duce mandò a chiamare il filosofo per discutere il suo “razzismo spirituale”, poi stroncato da un combinato disposto di cattolici e “razzisti ufficiali”. Ecco la descrizione del rendez-vous, nella fantastoria serriana. Il Duce, afflitto da un terribile mal di stomaco, avrebbe offerto a Evola del pollo arrosto (!), mentre lui si sarebbe limitato a del riso in bianco (in realtà, si videro nel pomeriggio, dettaglio sfuggito al “revisionismo gastronomico” dell’autrice). Dove avrà scoperto queste cose? Le memorie inedite della cameriera del Duce? Un antenato nascosto sotto il tavolo o dietro una tenda? Una seduta spiritica?
Dopodiché il Nostro avrebbe esposto in modo concitato il proprio programma (stando alla ricostruzione di Evola, invece, avrebbe parlato soprattutto il Duce) «per i giovani, i suoi interlocutori prediletti» (?), stilando il canovaccio di una rivista il cui punto fondamentale sarebbe stata – scrive la “storica” – «la subalternità degli ebrei e delle donne» (p. 151). Per quanto riguarda gli ebrei, il discorso è molto complicato, e non è questa la sede per discuterne. Delle donne, invece, piatto forte dell’analisi serriana, nei ventidue punti programmatici della rivista – indovinate un po’? – ovviamente non c’è traccia. Leggere per credere, li trovate in Julius Evola nei documenti segreti del Terzo Reich, Europa, Roma 1986, pp. 93-100. Da quali fonti la “scrittrice dilettante” avrebbe tratto le informazioni riportate?
In attesa di lumi dall’autrice, torniamo a Palazzo Venezia. Dopo aver sproloquiato di fronte al capo del Governo, continua Serri Mirella, Evola prese una Parker comprata per l’occasione (?) e «dedicò al suo (!) Duce una copia di Sintesi di dottrina della razza in cui dimostrava che gli ebrei si trovavano a un gradino molto basso nella scala della razza dello spirito e da lui erano definiti “detriti di razze”». Anzitutto, Renzo De Felice ha trovato la copia di Sintesi letta da Mussolini nell’agosto di quell’anno – spedita al Duce dall’editore Hoepli, su richiesta di Evola – e non vi ha individuato alcuna dedica. Quanto ai contenuti riassunti dalla Serri, la fonte non è Sintesi, ma… udite udite: la voce Julius Evola di Wikipedia, dove a proposito del libro si legge testualmente: «Gli ebrei costituirebbero un gradino molto basso nella scala della razza dello spirito teorizzata da Evola venendo definiti “detriti di razze”». Non ci siamo… E non è nemmeno l’ultimo “prestito non dichiarato” dall’“enciclopedia libera”.
A quel punto, secondo la nostra “storica”, Evola avrebbe proposto il titolo Sangue e Razza, porgendo a Mussolini un dattiloscritto con i punti programmatici. Il problema è uno, anzi due: prima di tutto, la rivista si chiamava Sangue e Spirito e non Sangue e Razza; in secondo luogo, la lista programmatica sarebbe stata redatta un paio di settimane dopo, a Capri, e sottoposta a Mussolini a fine novembre. Quindi, la frase «Il dittatore scorse rapidamente e approvò» vale tanto quanto il piatto di riso e il pollo arrosto.
Ma non è tutto: Evola sarebbe stato riaccompagnato da un’Aprilia nera dell’Ovra a casa sua, a poche centinaia di metri da Palazzo Venezia. Anche questa è una fantasia, naturalmente, non riportata da alcuna fonte, che infatti non c’è. Se anche fosse stato condotto in corso Vittorio dalla Polizia politica, forse lo avrebbero fatto con ben altre finalità, dato che Evola era attentamente seguito da loro in quanto sospetto antifascista. Eppure, la Serri dovrebbe saperlo, dato che ha citato con aria squalificante molte delle espressioni contenute nei rapporti dell’Ovra su Evola, non disdegnando quindi di servirsi delle ricerche attuate durante il tanto deprecato Ventennio. Epiteti come «affetto da pederastia» (p. 143) o «degenerato» (p. 145), formulati dall’odiato “patriarcato” – e fascista –, vengono citati così, con leggerezza, per inchiodare il “teorico dell’orgia” alle proprie responsabilità.
Ecco, dunque, le vere fonti della Serri: la fraseologia patriarcale democristiana, Wikipedia, frasi di altri attribuite a Evola e l’Ovra. Non c’è che dire, per un libro che si dichiara “storicamente accurato”, “antifascista” e “femminista”…
Se quelli appena citati sono errori tutto sommato “innocui”, da accogliere con tutto il sarcasmo che il caso merita, non ne mancano altri, decisamente meno innocenti. Ad esempio, a p. 143 scopriamo che negli anni Cinquanta e Sessanta Evola era «favorevole alla propaganda contro gli ebrei» (espressione tanto vaga quanto inesatta), «dedito alle droghe» (che aveva smesso di usare alla fine degli anni Venti), «alle discipline esoteriche e all’occultismo» (mai più praticato dopo gli anni Trenta).
Nella stessa pagina ci imbattiamo in un errore più grave: Evola, stando alle ricostruzioni di Uomini contro, avrebbe incontrato Hitler. Fatto mai avvenuto, come dovrebbe essere noto, mentre al contrario è celebre il giudizio evoliano sul Führer: «Nei riguardi di Hitler non ho mai nutrito alcuna simpatia, anzitutto poiché vedevo in lui tendenze proletarie, in secondo luogo perché era una specie di pericoloso “posseduto”». Strano che la Serri non citi queste parole, contenute in Autobiografia spirituale (Edizioni Mediterranee, Roma 2019) da lei inserito nella bibliografia del testo…

A proposito di incontri mai avvenuti, a p. 151 la fantastorica ne cita un altro, con Hermann Göring. Beh, in questo caso c’è da dire che almeno un passo avanti è stato fatto: nel corso della polemica che l’aveva opposta a Vittorio Sgarbi in occasione della mostra evoliana al Mart di Rovereto, aveva vagheggiato di un presunto legame con Martin Bormann. A quel punto, sul suo profilo Facebook una serie di persone le avevano chiesto quali fossero le sue fonti, al che la “studiosa” aveva contrapposto un silenzio impenetrabile. Siamo felici di vedere che almeno il riferimento a Borman è scomparso, soppiantato però da altri due strafalcioni. Di fronte a cotanta documentazione, non possiamo fare altro che rinnovarle la domanda: quali fonti dimostrano un incontro con Göring? E con Hitler? Attendiamo aggiornamenti, dato che le ricerche compiute dalla Fondazione negli ultimi decenni non lo hanno mai rivelato. Suvvia, Serri, ci illumini!
Anche il superamento della crisi affrontata da Evola nei primissimi anni Venti è un piccolo capolavoro. La Serri dice che il diretto interessato avrebbe raccontato la vicenda a un misterioso «intervistatore» (p. 148), mentre è riportata ne Il cammino del cinabro, da cui provengono le righe che cita poco dopo. Ebbene, come noto Evola supera la crisi che lo conduce sull’orlo del suicidio attraverso l’“idealismo magico”. Ma perché? «A fargli imboccare la strada della filosofia fu la consapevolezza che il fascismo aveva bisogno dell’elaborazione di un pensiero» (ibidem). Certo, tantoché il filosofo cominciò a scrivere la sua opera filosofica nel 1916-1917, cinque anni prima della Marcia su Roma. Suvvia, bastava leggere bene Il cammino del cinabro, magari la versione aggiornata e annotata uscita per le Mediterranee nel 2014 e nel 2018, e non la Scheiwiller, da lei citata in bibliografia. Che poi Carl Schmitt fosse il filosofo prediletto da Evola, «che ammirava e considerava la luce della sua speculazione» (p. 148), è tutto da dimostrare: cercate il suo nome nelle opere filosofiche evoliane e vedrete quante volte è citato.
Eh già, l’annoso e noioso problema delle fonti… che si ripresenta a p. 145, dove in Uomini contro può leggersi: «In quanto cultore di dottrine esoteriche fu accusato di affiliazione all’Ordo Templi Orientis e gli venne imputato anche di essere “massone”». La fonte primaria è la «Revue Internationale des Sociétés Secretes» di Monsignor Ernest Jouin, sempre intenta a tracciare “legami occulti” tra massoneria, ebraismo internazionale e occultismo. Così, alle fonti succitate, la Serri aggiunge la peggior letteratura complottista!
Su tutto, ça va sans dire, il presunto filonazismo evoliano, che finisce per eclissare tutti i suoi studi e interessi. «Nella interpretazione di Evola il fascismo veniva riletto alla luce delle consonanze, individuate dal filosofo, con Hitler e il nazismo» (p. 140). Difficile crederlo, dato che negli anni Trenta e Quaranta Evola propose, al contrario, di correggere il nazionalsocialismo con il fascismo, spesso attirandosi gli strali dell’intellighenzia nazista che si interessò alla sua opera. Fregandosene della copiosa letteratura secondaria oggi disponibile, la Serri tuona: «Il pensatore condivideva con Martin Heidegger e con Carl Schmitt il progetto del rinascimento della “germanicità” e di un impero pagano sotto la guida egemonica della Germania di Hitler». Ma ecco il capolavoro: «Il suo modello era una forte destra “quale si era affermata nell’Europa centrale a base monarchica e aristocratica”» (p. 153). Qui la Serri dice il vero ma si contraddice, alludendo infatti agli ambienti rivoluzionario-conservatori epurati dallo stesso nazionalsocialismo di cui Evola sarebbe stato un fan!
Sempre all’insegna di un’intensa militanza antisemita sarebbe stato il misterioso soggiorno viennese di fine 1944 (precedente il celebre bombardamento, per capirci): «Insediatosi a Vienna, Evola lavorò a una ricerca sull’occultismo e i rapporti tra classi dirigenti italiane ed ebraismo, finanziata da Himmler» (p. 154). Come noto a chiunque abbia letto Il cammino del cinabro, ma anche Julius Evola. Un filosofo in guerra di de Turris, continuamente ristampato e aggiornato da Mursia, Evola era a Vienna per studiare documenti massonici e far tradurre gli scritti di Ur e Krur in tedesco! Come può saperlo la nostra “storica”, dato che nemmeno il libro in questione – giunto proprio in questi mesi alla sua quarta edizione – è citato?
Questa visione sarebbe stata mantenuta da Evola nel secondo dopoguerra. Il filosofo «voleva riportare in vita il prestigio delle famigerate SS e della milizia in camicia nera» (p. 155). Peccato non conosca – non avendola citata in bibliografia – la lettera in cui Evola dichiara: «Per riprese tradizionali non remote io non mi riferirei al Terzo Reich, che nel complesso mi è poco simpatico, infetto come era di populismo. Se mai a quello che auspicava, in Germania, la cosiddetta “rivoluzione conservatrice” se ad essa l’hitlerismo non avesse fatto lo sgambetto» (Lettere 1955-1974, La Terra degli Avi, Finale Emilia 1995, p. 94). Sono proprio gli “ambienti monarchici” citati prima…
Per dimostrare l’«indottrinamento filohitleriano di Evola» (p. 164) la nostra storica dilettante arruola tutte le proprie limitate risorse – quelle già citate, per capirci.
Così, ad esempio, scrive: «Ammirava Himmler e il corpo delle SS “in qualità di ordine guerriero iniziatico anticristiano al pari di un ordine cavalleresco, perfetta sintesi tra tradizionalismo e nazionalsocialismo”». La Serri usa il virgolettato, mettendo in bocca a Evola queste parole (p. 153). La fonte però è, ancora una volta… Wikipedia, la voce dedicata al filosofo romano. State bene attenti: non è una citazione evoliana riportata da Wikipedia, ma proprio la voce stessa. Cioè, la Serri ha preso righe scritte da altri su Evola, pubblicate sull’Enciclopedia online, e le ha attribuite a lui! Ora, nessuno contesta l’uso di strumenti del genere per la ricerca, a patto però che si citi la fonte, come d’altronde da statuto wikipediano, e soprattutto non si prendano fischi per fiaschi. In buona o in cattiva fede?, verrebbe da chiedersi.

Il dossier dell’Ovra dedicato a Julius Evola.


Il vizietto di scopiazzare righe intere da Wikipedia – se una tesi fosse scritta in questo modo, un comune software antiplagio la porterebbe alla bocciatura – torna spesso nelle pagine di Serri Mirella. Ecco un altro esempio, tratto dai capitoli che ci interessano – la restante parte del libro non è affar nostro, ma questo non impedisce altre ricerche, ovviamente… Ora secondo la Serri, come già visto l’orgia è la via ascetica del legionario, il quale considererebbe la donna «un oggetto passivo in quanto era un essere “privo di ego, di razionalità e di morale, una nullità destinata essenzialmente al coito sessuale e alla riproduzione”» (p. 161). Come prima, le parole sono messe tra virgolette, quindi attribuite a Evola dalla Serri, che a p. 168 ribadisce: «La femmina, aggiungeva il nietzschiano Evola, era un essere “privo di ego, di razionalità e di morale”, destinata solo al coito. E all’orgia». Di nuovo le virgolette. Di nuovo parole di Evola, da far tremare i polsi. Ma dove costui avrebbe messo nero su bianco abominazioni del genere? Ebbene, ancora una volta le citazioni non sono del filosofo, ma degli estensori della voce di Wikipedia. Leggere per credere: «La donna, appartenendo alla terra, è parte del mondo materiale e dei bassi istinti da cui è attratta, di conseguenza per Evola essa è priva di ego, razionalità e morale: ontologicamente è una nullità destinata essenzialmente al coito sessuale e alla continua riproduzione del materiale e di altri individui» (voce Julius Evola; i corsivi sono nostri, e indicano le scopiazzature effettuate in Uomini contro). Chiaro, no?
Meno chiara, se volete, è la ragione profonda di questa sfilza di sbagli, superficialità, approssimazioni, errori di fatto e fantasie. Spieghiamoci meglio. Di fronte alle innumerevoli sviste della “scrittrice” (nemmeno le abbiamo riportate tutte), ci si potrebbe chiedere: perché confezionare un testo destinato a un’inevitabile stroncatura? Perché inventarsi dettagli facilmente smontabili? Perché aggiungervi fantasie “di colore” (esemplare, da questo punto di vista, il pranzo con il Duce)? Semplice trascuratezza? O forse la precisa intenzione di creare un nuovo “canone antievoliano”, fatto di fake news, cristallizzando per così dire un nuovo immaginario su Evola ad uso e consumo della cultura mainstream?

5. Il macabro epilogo della fantastoria serriana: gli orrori del Circeo

Ebbene, dopo aver costruito un delirante profilo di Julius Evola basato sulla deliberata manipolazione delle fonti, di cui abbiamo offerto solo qualche esempio tra i più eclatanti, la Serri arriva al punto, come si sol dire, e dice la sua.
L’ossessiva e monomaniaca insistenza su droghe, sesso e pratiche orgiastiche serve a “dimostrare”, per modo di dire, una delle tesi di Uomini contro, vale a dire che gli orrori del Circeo compiuti nel 1975 da Gianni Guido, Angelo Izzo e Andrea Ghira, abbiano avuto come “mandante morale” proprio il filosofo romano. In senso figurato? Assolutamente no. Si interpretino altrimenti frasi come queste: «Distinguendo tra Eletti e specie inferiori [sic], come le persone di colore, gli ebrei e le donne [sic], il filosofo romano fece da battistrada agli omicidi di Angelo Izzo e di Andrea Ghira» (p. 163). L’espressione “battistrada” è piuttosto furba e sembra studiata per mantenere un’ambiguità di fondo, magari evitando rogne legali. Una cautela però abbandonata a p. 163: «Izzo era un Narciso dai grandi occhi sporgenti e dall’eloquio brillante e, grazie all’assidua frequentazione del “maestro”, divenne un esecutore delle evoliane teorie dell’orgia, mise in atto la predicazione di Evola dello stupro come forma di dominazione del mondo femminile». Da querela.
Come dimostra Serri Mirella questa “influenza”? Semplice: non la dimostra affatto, ma la enuncia, come se fosse di dominio pubblico, talmente palese da non richiedere prova alcuna. La presunta influenza che Evola esercitò su certi mostri antifemministi – categoria dai margini larghissimi, nella visione di Serri Mirella – è tratta dalle vicende, anche queste vaghe e scarsamente documentate, riportate nel libro Io sono l’uomo nero (RaiLibri, Roma 2023) di Ilaria Amenta, in cui vengono citate alcune pagine degli oscuri memoriali di Izzo. Il massacratore del Circeo, tra ricordi di stupri, rapine, sequestri e uccisioni, con sospetta lucidità – dopo decenni dagli efferati accadimenti, tutti spinti da stati alterati da stupefacenti e da una psiche quantomeno labile, per usare un eufemismo – ricorda di essere stato a casa di Julius Evola e che qui sentì nominare una setta segreta nota per alcuni cruenti riti iniziatici. Ebbene, è noto che l’ultimo piano di corso Vittorio 197 fosse oltremodo frequentato all’inizio degli anni Settanta ed Evola non poteva essere responsabile di quello che i frequentatori facevano dopo essere usciti di casa – soprattutto nel caso di un massacro avvenuto nel 1975, un anno dopo la sua morte.

Angelo Izzo, uno dei massacratori del Circeo.

Quanto al presunto “ordine iniziatico”, sarebbe un famigerato “Ordine della Rosa Rossa”. Ecco cosa scrive la “storica”: «Izzo racconta di aver sentito da Evola che si trattava “di una setta molto potente paramassonica che rimandava alla fratellanza Rosacroce. L’intento era quello di raccogliere intorno allo stendardo della Rosa Rossa una nuova aristocrazia, per poi vincere due guerre. La piccola guerra contro i nemici esterni e la grande guerra all’interno di sé con un duro cammino iniziatico che ci conducesse alla perfezione e all’immortalità”» (p. 165). Un bel minestrone, difficile da studiare analiticamente, essendo tratto da una testimonianza tutt’altro che affidabile per le ragioni già ricordate. Ma è proprio a partire da questo materiale che la Serri traccia l’identikit di Evola, senza curarsi minimamente di contestualizzare i deliri di Izzo, come invece dovrebbe fare uno storico affidabile. Siamo sempre al solito punto, insomma.
Ora, il libro della Amenta è citato dalla Serri in bibliografia. Il mix romanzesco di neofascismo anni Settanta più massoneria satanica più criminalità tipo “banda della Magliana” crea una miscela vincente per travolgere il lettore. L’autrice sottolinea giustamente l’aspetto più banditesco dei rampolli violenti, associandoli a nomi grossi della criminalità del tempo (come Abbruciati e De Pedis) e generalizza il fenomeno nominandoli “drughi”, proprio perché emuli ispirati dalle superviolenze di Arancia meccanica. La Serri, invece, cerca impossibili cause ideologiche, aggiungendo alla mostruosità fascio-satanico-massonica sirene d’allarme misogine e antiebraiche. Per la Serri tutte verità; non dimostrate.
Concludiamo così il nostro viaggio nel magico mondo della storiografia dilettantesca. Naturalmente la diretta interessata si guarderà bene dal rispondere a questo lungo pezzo e ai suoi rilievi (così come ha fatto su Facebook, a precise domande che le sono state rivolte). Magari dirà che è stato scritto da “evoliani”, “fascisti” o “sostenitori del patriarcato”. Per quanto ci riguarda, abbiamo fatto quel che andava fatto, come sempre diceva Evola, ispirandosi non a chissà quale teorico del maschilismo ma alle dottrine buddhiste. Che la nostra storica dilettante si documenti, la prossima volta. In caso contrario, lo ribadiamo, sarà difficile per chi si occupi di storia – a prescindere quindi dal discorso su Evola – prenderla sul serio.